16/11/2011 di Redazione

Senza formazione, figure Ict a rischio. Di chi è la colpa?

L’Aica ha presentato i risultati di una ricerca sulle competenze informatiche. E sono emersi diversi buchi. Un quarto delle figure professionali italiane si definiscono IT Manager ma solo il 2% di essi ha gli skill previsti dall’European e-Competence Fram

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I professionisti che operano in Italia nel mondo dell’Information & Communications Technology  sono a rischio per la mancanza di percorsi di formazione adeguati. Lo ha detto l’Aica (Associazione italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico) in occasione del proprio Congresso Nazionale in corso a Torino. Un’affermazione forte, quanto mai di attualità in relazione al dibattito (spesso troppo polemico e senza costrutto) sul tema del lavoro, delle prospettive di occupazione per i giovani e del livello di competenze tecniche del nostro Paese.



Gli addetti del settore tecnologico sono stati coinvolti dalla stessa Aica e dal Cepis (Council of European Professional Informatics Societies) in un innovativo progetto di ricerca, denominato Professional e-Competence Survey, che ha fotografato lo stato delle loro competenze professionali confrontandole con quanto indicato dal modello European e-Competence Framework e con quelle degli altri stati membri dell’Unione.

I dati relativi al campione italiano evidenziano per i lavoratori ICT del Belpaese un’età media più giovane rispetto ai colleghi europei mentre la spinta alla ricerca di un lavoro più soddisfacente coinvolge un 20% di specialisti under 40 in più rispetto alla media. Anche i professionisti italiani, come i colleghi degli altri Paesi, hanno qualche difficoltà  a riconoscere  il proprio profilo professionale fra quelli proposti evidenziando la tendenza alla non coincidenza tra le competenze possedute e il proprio profilo di carriera.

Il problema che evidenzia Aica è il seguente: chi lavora nell’IT in Italia non ha un livello elevatissimo di formazione post-secondaria ed il suo percorso formativo non è particolarmente focalizzato sull’IT. Nonostante questo, i professionisti italiani oggetto di indagine hanno registrato livelli di competenze superiori rispetto al resto d’Europa nelle cinque aree dell’European e-Competence Framework (definite Plan, Build, Run, Enable, Manage). La ricerca ha evidenziato per contro come la proporzione di donne professioniste ICT in Italia sia inferiore alla media europea, attestandosi all’8% contro una media del 16%.

Il riconoscimento delle competenze effettivamente possedute rispetto ai profili IT a cui i professionisti di impresa del settore informatico si considerano più vicini è l’altra faccia del problema. Un quarto di coloro che hanno partecipato alla ricerca in Italia si auto-definiscono IT Manager, ma solo il 2% di essi ha le competenze previste dall’European e-Competence Framework corrispondenti a questo ruolo. Questa differenza di autovalutazione, dice il rapporto, vale anche per altri profili molto diffusi, come quello del Project manager o dell’IT Administrator.

Messe a fuoco le mancanze, l’Aica ha quindi suggerito la strada da seguire per colmare il gap: è necessario, dice l’Associazione, diffondere e accreditare gli standard di riferimento e creare percorsi di formazione dettagliati e specifici che evitino di ampliare ulteriormente questo divario, che potrebbe danneggiare seriamente le opportunità di crescita dell’Europa come economia della conoscenza.

Il punto è: chi deve o dovrebbe attivarsi per ridurre la difficoltà nel trovare personale competente, il gap formativo, la discrepanza fra abilità possedute e abilità richieste e quindi azzerare il rischio che venga meno la capacità dell’Europa di trasformarsi in un’economia capace di crescere in modo intelligente? E chi deve muoversi con azioni e progetti mirati per sviluppare e identificare le competenze dei professionisti ICT del continente e quindi aiutare a individuare le abilità necessarie per le professioni del futuro, come previsto dall’iniziativa della Commissione Europea “New Skills for New Jobs”?


Le risposte, come sempre, possono essere molte, anche molto circostanziate. Personalmente mi limito a riportare un commento, emblematico di uno scenario a luci e ombre, carpito di persona a Domenico Sugamiele, Direttore del Dipartimento Politiche e Sistemi formativi dell’Isfol (l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) rispetto al tema del cambiamento delle professioni e delle competenze informatiche nel mondo del lavoro. “L’occupazione nelle aziende Ict italiane – questo il parere di Sugamiele - si è mantenuta stabile anche nel biennio della crisi economica e superiore alla media degli altri Paesi ma siamo carenti in fatto di elevate professionalità: gli ingegneri e le figure molto qualificate, se non trovano collocazione in grandi strutture, o vanno all’estero o intraprendono l’attività di consulenza. C’è quindi difficoltà, per le medie aziende, a reperire competenze adeguate sul mercato e il nodo dell’assenza di competenze nelle imprese è il sistema formativo, perchè mancano percorsi di apprendimento tecnico professionali strutturati e paralleli all’Università. Il Web è un abilitatore, non la soluzione al problema”.

La pervasività di Internet incide per altro significativamente su altri aspetti non meno importanti, e uno di questi è il contratto di lavoro: ha ancora senso quello attuale – si chiede Sugamiele – quando molte delle attività si svolgono da remoto tramite terminale mobile?

 

Link:

il video su Youtube:
http://www.youtube.com/user/CEPISEurope

Il report dedicato all'Italia:
http://www.cepis.org/media/CEPISProfeCompetenceItaly_Report1.pdf

L'Executive summary:
http://www.cepis.org/media/CEPIS_ECOMPETENCE_BROCHURE_INTERIOR_10OCT_LR1.pdf



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