07/10/2011 di Redazione

Steve Jobs non c'è più, quale nuova vita per Apple?

La morte del capo carismatico di Cupertino ripropone gli interrogativi già emersi al momento del suo abbandono del ruolo di Ceo. Il rischio, una volta esaurita la dote di Jobs e portati sul mercato i prodotti in incubazione nella “pipeline” da lui prepara

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Il “genio” di Apple non c’è più. E da vero amante dei colpi ad effetto, Steve Jobs se n’è andato per sempre il giorno dopo l’ultimo annuncio “rivoluzionario” della compagnia di Cupertino, l’iPhone 4S. Una coincidenza davvero particolare, che inevitabilmente è andata a coprire e mettere in un angolo tutte le riflessioni (anche critiche e di delusione) che hanno accompagnato il debutto del nuovo melafonino parlante e della prima di Tim Cook nel ruolo di gran cerimoniere.



A celebrare debitamente Jobs ci hanno pensato già in tanti: fan, seguaci, addetti ai lavori, media e fior di personaggi dell’establishment internazionale, a cominciare dal Presidente degli Stati Uniti Barak Obama. Giornalisticamente c’è la “necessità” di farsi invece una domanda, magari scontata ma a cui nessuno oggi può dare una precisa risposta: cosa succederà ora alla Apple? E all’immagine e al business di una società tornata a splendere come negli anni d’oro e arrivata davanti a tutti nel mondo (con oltre 350 miliardi di dollari) per valore di capitalizzazione di mercato? Una risposta in tal senso è arrivata da Interbrand, secondo cui il valore del marchio Apple, oggi nell’ordine dei 33,5 miliardi di dollari, potrebbe aumentare immediatamente di circa 670 milioni di dollari sfruttando l’ulteriore popolarità del brand generato dalla scomparsa di Jobs.

Provando a ipotizzare (timidamente) qualche altra possibile considerazione in merito, è forse giusto ricordare come Jobs avesse già abbandonato Apple lo scorso 25 agosto, quando annunciò al mondo le dimissioni irrevocabili da amministratore delegato dell’azienda che ha fondato, lasciato a varie riprese (soprattutto a causa della malattia) e rilanciato ai vertici dell’industria tecnologica. Quanto di buono scritto di Tim Cook un mese e mezzo fa non può essere buttato al vento solo perché, da oggi in poi, l’ombra del suo predecessore sarà ancora più ingombrante.

Venendo meno il guru, l’innovatore e il pioniere, colui che come nessuno incarnava il concetto di leadership, il futuro prossimo della società di Cupertino non potrà che essere diverso dal recente passato. Settimane fa, quando registravamo la notizia dell’uscita della biografia autorizzata di Steve Jobs (uscirà in anticipo di un mese il 24 ottobre ed è in testa alla classifica dei bestseller su Amazon.com), rimbalzavano sui blog le indiscrezioni inerenti un possibile ritorno in Apple di Steve Wozniak, il co-fondatore della società della Mela. Suggestioni a parte, è difficile pensare che possa essere una soluzione in grado di soddisfare azionisti, clienti e opinione pubblica.



L’ultima grande creazione di Jobs, ascoltando chi il mondo Apple lo conosce bene, non è stato l’ultimo iPhone o l’iPad di terza generazione ancora gelosamente tenuto segreto nei laboratori di Cupertino. È l’aver lasciato in eredità alla compagnia una “pipeline” tale da assicurare ad Apple almeno tre anni di continuità nel rilascio di nuovi prodotti: almeno fino al 2014, in altri termini, computer, telefonini e altro che usciranno dai laboratori di Cupertino avranno idealmente il logo di Jobs stampigliato sopra. E la riprova l’avremo con il nuovo iPhone, in rampa di lancio a fine 2012 o inizio 2013, descritto come un prodotto che cambierà (ancora) le regole del gioco. E magari anche con la nuova Apple TV, uno dei pochi media device che Jobs non ha rivoluzionato.

Il pallino ora è in mano a Cook e la sua prima sfida da vincere è quella di cancellare l’imbarazzato disappunto di chi non l’ha visto recitare in modo adeguato – lasciando ad altri executive il compito di presentare alla platea l’iPhone 4S - nella sua prima apparizione da Ceo. Cook però non è né un innovatore e nelle vesti di “one man show” non ci potrà mai probabilmente calarsi. È però un manager cui gli si riconoscono molte doti, oltre a quella di grandissimo lavoratore: se la macchina di Apple funziona così bene e la concorrenza è riuscita solo parzialmente a scalfire l’appeal degli iPhone e degli iPad è anche merito suo, della struttura logistica che ha messo in piedi, degli accordi molto vantaggiosi che ha saputo strappare ai fornitori di componenti e ai produttori asiatici che sono la spina dorsale della società della Mela.



A Cupertino ci sono altri top manager in grado di portare avanti la missione intrapresa da Jobs, a cominciare dal capo del design, l’inglese Jonathan Ive. Ma nessuno sembra avere la dote che secondo molti osservatori ha reso Jobs unico, e cioè il fatto di coniugare in una sola persona e a livelli di assoluta eccellenza diverse doti e non solo quella di visionario tecnologico. Ed è per questo che non sono pochi a credere che, nel lungo termine e una volta esauritasi del tutto l’influenza di Jobs, Apple rischia di diventare una compagnia normale, più ordinaria e lontana dall’essere concreta espressione del motto “think different”.

Ciò che sarà di Apple fra tre o cinque anni nessuno lo può sapere, oggi. Tutti, però, possono vedere il mondo che Jobs ha creato attraverso questi numeri: 128 milioni di iPhone e 28 milioni di iPad venduti in tutto il mondo, 425mila applicazioni disponibili nell’App Store e 15 miliardi i download operati dagli utenti di iPhone, iPod Touch e iPad, 16 miliardi di tracce musicali vendute su iTunes, 105 i Paesi dove il mela fonino è distribuito (da 228 operatori mobili), 91% e 86% le percentuali di aziende della classifica Fortune 500 che stanno implementando o testando rispettivamente l’iPhone e l’iPad, oltre 60 miliardi di dollari di fatturato (per l’esercizio fiscale 2010) e circa 410 dollari il valore dell’azione Apple sui listini di Wall Street (era sotto i 100 a inizio 2009).




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