10/04/2015 di Redazione

Storage, il futuro è (ancora) il nastro: parola di Ibm e Fujifilm

Le due aziende hanno sviluppato un supporto magnetico in grado di registrare 220 terabyte di dati, una cifra 88 volte superiore rispetto allo standard degli anni Novanta. Secondo i ricercatori questa tecnologia low cost, oltre a essere perfetta per creare

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L’archiviazione al giorno d’oggi corre ancora su nastro. L’hanno dimostrato Ibm e Fujifilm, che sono riuscite ad ammassare la cifra record di 220 terabyte di dati su una normale cassetta dotata di nastro magnetico, supporto che suona ormai come un reperto archeologico. La base di partenza è stato l’ultimo standard di settore, il Linear Tape-Open 6, lanciato alla fine degli anni Novanta da un consorzio partecipato dalla stessa Ibm e da altre realtà, che era allora in grado di archiviare 2,5 TB in un dispositivo di dieci centimetri per dieci. In questo caso, la capienza è però aumentata di ben 88 volte, anche se la nuova tecnologia probabilmente non sarà disponibile in commercio prima di diversi anni. Si è trattato in sostanza di un esperimento, per portare quasi ai limiti fisici i nastri magnetici e osservare il loro comportamento in situazione estreme.

 

 

A differenza di quanto si possa pensare, queste cassette hanno degli assi nella manica: il loro costo per bit di archiviazione è il più basso che si possa trovare in commercio e, malgrado il tempo di recupero dei dati sia decisamente alto, circa un minuto, possono essere utilizzate per immagazzinare informazioni consultate di rado. I cosiddetti “cold data”.

Ma Ibm pensa in grande e, secondo Mark Lantz, manager dell’Advanced Tape Technologies Group di Big Blue, il nastro sarebbe perfetto anche per il cloud. Ed è proprio in questa direzione che si stanno muovendo i ricercatori della società basati a Zurigo: gli scienziati stanno sperimentando l’integrazione di questa tecnologia con i sistemi di storage a oggetti, come ad esempio OpenStack Swift. Ed è proprio la Svizzera a dare, al momento, grandi soddisfazioni a Ibm e Fujifilm, perché l’Università Eth di Zurigo impiega già il nastro per effettuare back-up centralizzati e servizi di ripristino.

“Il tasso medio di trasferimento dati su nastro è aumentato in modo vertiginoso negli anni, arrivando a circa sessanta terabyte al giorno: la nostra “libreria” supera oggi i 5,5 petabyte”, ha dichiarato il dottor Tilo Steiger, deputy head of Its system services presso l’ateneo elvetico. “Malgrado gli evidenti progressi nelle altre tecnologie di storage, il nastro rimane comunque un mezzo promettente per grandi quantità di informazioni, grazie alla sue capacità di trasferimento dati nelle applicazioni di tipo Linear Tape File System e al suo ridotto consumo energetico”.

Insomma, anche se di archiviazione su nastro non si parla quasi mai, sembra che questo supporto stia vivendo una stagione davvero florida e sia destinato a rimanere un sempreverde dello storage. Secondo Coughlin Associates, infatti, nel mondo sono registrati su nastro ben cinquecento exabyte di dati. L’idea di spostare la classica disposizione on-premise delle cassette e renderle disponibili per le applicazioni su cloud deriva soprattutto, ancora una volta, dalla necessità di abbattere i costi.

 

 

Ripensando al passato, è difficile immaginare che gli inventori del primo supporto di archiviazione su nastro di Ibm, il cosiddetto “sette tracce” del 1952, potessero pensare che questa tecnologia sarebbe un giorno arrivata a ospitare 225 terabyte: il 7 tracks, infatti, era in grado di immagazzinare la “folle” cifra di due megabyte per ogni bobina. Una capienza inferiore di 110mila volte rispetto a quelle attuali.

 

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