09/01/2013 di Redazione

Talenti aziendali: risorsa preziosa ma non valorizzata

In uno studio sull'utilizzo della talent intelligence in quattro Paesi europei, Oracle offre uno spaccato di una realtà contraddittoria: il 95% delle aziende riconosce che una valorizzazione delle risorse più abili e preparate può tradursi in un vantaggio

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Talento sprecato: un modo di dire che trova, purtroppo, un’amara corrispondenza in molte imprese europee. Professionisti preparati, aggiornati, specializzati su competenze specifiche o viceversa capaci di passare da un ruolo all’altro, lavoratori nella parte più economicamente sviluppata del Vecchio Continente rischiano spesso di operare al di sotto delle proprie possibilità.

Il dito è puntato, in particolare, su Francia, Germania e Regno Unito, dove Oracle ha portato avanti un’indagine sulla percezione e applicazione della cosiddetta “talent intelligence”. Un concetto che ha preso piede in anni recenti, come consapevolezza diffusa fra gli operatori delle risorse umane, ma anche come vocazione di agenzie di recruiting o società di consulenza che promettono di aiutare le aziende a valorizzare la propria forza lavoro.

I benefici della talent intelligence secondo le imprese europee intervistate da Oracle


Al pari della business intelligence applicata ai dati, la capacità di comprendere e gestire le competenze dei dipendenti è uno strumento operativo e, insieme, un potenziale vantaggio rispetto ai competitor. Molti lo sanno, eppure fanno finta di non saperlo.

Il report di Oracle, titolato Understanding the impact of Talent Intelligence: a Western European study, svela che il 95% delle aziende nell’Europa Occidentale è consapevole del fatto che la cosiddetta talent intelligence possa migliorare le prestazioni e, dunque, il proprio successo finanziario; il dato deriva dalle 300 interviste realizzate su altrettanti decision-maker di società di grandi o medie dimensioni. Meno di un quarto degli interpellati (24%), tuttavia, si è detto “molto soddisfatto” della visibilità dell’azienda sui talenti della propria forza lavoro.

Un divario fra aspirazioni e realtà

In particolare, il 54% degli intervistati ha indicato l’incremento dei profitti come primo beneficio di un investimento in talent intelligence, mentre il 53% ha citato la possibilità di risparmio sui costi di formazione. E altri vantaggi stimati sono il maggiore fatturato per singolo dipendente (indicato dal 47% delle risposte), una riduzione dei costi di assunzione (44%) e delle spese in risorse umane (43%).

I metodi per garantirsi i lavoratori migliori


Le motivazioni, insomma, ci sono e sono solide. Quello che emerge, secondo l’indagine, è un sostanziale gap fra le aspirazioni di business delle aziende e la capacità di metterle in pratica. E il problema alla base di questo gap, spesso, è un insufficiente accesso ai dati che permetterebbero di conoscere meglio e più analiticamente le proprie risorse umane.

“Molte organizzazioni dell’Europa Occidentale riconoscono i vantaggi di implementare soluzioni di talent intelligence, ma il report mostra che molte di esse scontano un insufficiente accesso ai dati che permetterebbe di migliorare i processi di business”, ha commentato Richard Haycock, senior director Human Capital Management di Oracle. “Sembra esserci, per le aziende europee occidentali, un’opportunità di usare le soluzioni di talent management per ottenere insight sui propri talenti, migliorare il valore e l’esperienza dei dipendenti, identificare punti di forza o debolezza e ottimizzare le attività”.

L’indagine, in particolare, ha evidenziato che le imprese meglio capaci di raccogliere e analizzare dati (quelle che Oracle classifica come "data-proficient organization”) sono meglio posizionate nel percorso della talent intelligence, dal momento che il 91% degli intervistati di questa categoria è favorevole al fatto che il personale delle risorse umane monitori i risultati dei dipendenti per dimostrare il proprio contributo al raggiungimento di obiettivi di business. Nelle “data-deficient organization” questa percentuale scende al 70%.

Gli ostacoli da rimuovere
Oltre all’incapacità di raccogliere e gestire i dati, che cos’è che ostacola l’affermarsi della talent intelligence? Fra le motivazioni più citate (47%) c’è la “barriera d’ìngresso” dei costi, degli investimenti che andrebbero fatti in risorse umane e software. La mancanza di supporto da parte di chi prende le decisioni (32%) e di competenze di analytics (29%) sono citati come ulteriori impedimenti.

Gli ostacoli all'adozione di strategie di talent management


C’è poi il fatto che una buona parte delle realtà, pur avendo accesso a determinati dati, è incapace di coglierne il valore. Per esempio, mentre la “qualità delle assunzioni” è citata dal 57% degli intervistati come primo fattore per migliorare il valore e le performance dei dipendenti, la possibilità di accedere a dati sulle performance è tenuta in considerazione molto inferiore. Poco più di un quarto (28%) dei decision-maker, inoltre, riconosce l’importanza di privilegiare nelle scalate di ruolo in azienda i lavoratori più efficienti.

In certi casi, infine, i risultati dell’indagine sono stati influenzati dalle normative nazionali in materia di assunzioni e protezione dati. In Francia, per esempio, il focus è sull’opportunità di trovare al primo colpo il giusto candidato per un ruolo vacante, opportunità citata dal 68% degli intervistati come prioritaria nelle strategie di talent intelligence; nel Regno Unito prevale una maggiore flessibilità nelle assunzioni, mentre in Germania dominano le logiche di seniority e di lavoro di squadra.

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