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Tasse: Google, Facebook, Amazon & Co. continuano a fare i furbi

Uno studio di Mediobanca ha calcolato che i 25 colossi mondiali Websoft (software e servizi Web) in cinque anni hanno risparmiato 49 miliardi di euro di versamenti, dirottando la contabilità su paradisi fiscali. Anche Apple ha giocato sporco.

Pubblicato il 28 novembre 2019 da Redazione

Google, Amazon, Facebook e gli altri 22 colossi principali tecnologici del software e del Web (i “Websoft”, come li ha definiti Mediobanca), non hanno pagato le tasse così come avrebbero dovuto: all’appello mancano ben 49 miliardi di euro, considerando solo i mancati versamenti dei 25 “giganti” riferiti agli ultimi cinque anni. E se includiamo anche Apple (assente dalla lista in quanto produttore di hardware, ancor prima che di software), il conteggio sale a 74 miliardi di euro. Uno studio di Mediobanca ha fatto scoppiare l’ennesimo scandalo fiscale (ed etico) sulle digital company straniere, spesso accusate e multate negli ultimi anni per i mancati versamenti nelle casse dei Paesi in cui fanno profitti attraverso la vendita di software, servizi digitali e advertising.

 

Più precisamente, l’ammanco di 49 miliardi di euro di tasse non versate si riferisce al periodo 2014-2018, estremi inclusi, dalle 25 aziende Websoft con fatturato globale superiore a 8 miliardi di euro. Sul totale, 14 sono società statunitensi (tutte con sede legale in Delaware, tranne Microsoft), sette sono cinesi (ma hanno scelto le isole Cayman per la propria sede legale), due sono europee (con sede in Germania) e due giapponesi. Il settore del retail online è il prevalente (13 aziende), seguito dalla produzione software (sette) e dai servizi Internet, come social media, motori di ricerca, portali Web e sistemi di pagamento (cinque). Per la lista completa vi rimandiamo all’infografica sottostante, tratta dal report di Mediobanca.

 

 

 

In prima linea fra i “risparmiatori” disonesti spiccano Microsoft (con 16,5 miliardi di euro di versamenti evitati), Google (11,6 miliardi), Facebook (6,3 miliardi), Oracle (5,7 miliardi), Tencent (5 miliardi), eBay (1,5 miliardi), PayPal (1,2 miliardi) e Booking Holdings (1,1 miliardi). Apple invece, stando ai calcoli, avrebbe addirittura risparmiato 25 miliardi di euro. Come abbiano fatto questi colossi e gli altri della lista a ridurre il carico fiscale sulle loro spalle è ormai risaputo: ciascuno con il proprio schema, hanno o avrebbero dirottato parte del fatturato su vari paradisi fiscali. In particolare, alle Cayman, in Irlanda, Svizzera, Lussemburgo, Paesi Bassi, a Singapore, Hong Kong, Isole Vergini Britanniche, Porto Rico.  Nel 2018 l’aliquota media effettiva delle 25 Websoft è stata del 14,1%. Un bel risparmio, se pensiamo che negli Stati Uniti l’aliquota è al 21% e in Cina al 25%.

 

Le tasse non versate all’Italia

Quanto è stato “sottratto” alle casse del fisco italiano? Mediobanca fa notare una sproporzione: che i ricavi dichiarati in Italia dalle filiali locali delle Websoft esaminate sono appena 2,4 miliardi di euro, ovvero lo 0,3% del loro giro d’affari aggregato a livello mondiale. Un dato francamente poco credibile, considerando l’ampiezza e il grado di maturità tecnologica del mercato italiano,

 

Tali filiali italiane nel 2018 hanno versato al nostro fisco italiano circa 64 miliardi di euro (erano 59 i miliardi versati nel 2017) e pagato, nell’insieme, 39 miliardi di euro di sanzioni patteggiate con le autorità fiscali nostrane (le multe del 2017 ammontavano a 73 miliardi). “Le branch italiane di Amazon, Microsoft, Booking e Sap trasferiscono parte della loro liquidità alle relative controllanti, che gestiscono in modo accentrato la tesoreria del Gruppo”, si legge nel report di Mediobanca.

 
Tag: mercati, google, facebook, amazon, tasse, fisco, alibaba, Mediobanca

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