10/04/2020 di Redazione

Tracciamento segreto e cookie, per i giudici Facebook è colpevole

Una corte d’appello di San Francisco dà ragione ai sostenitori di una class action avviata nel 2011. Il social network avrebbe violato la legge conservando cookie anche sugli utenti non registrati.

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Vecchi problemi ritornano per Facebook, e il tema è quello - spinosissimo per il social network - della privacy violata. Eravamo nel 2011, sette anni prima dello scandalo di Cambridge Analytica, quando un gruppo di cittadini statunitensi avviava una class action nei confronti dell’azienda di Mark Zuckerberg, colpevole a loro dire di aver illegalmente raccolto dati e tracciato gli utenti attraverso i cookie di navigazione. 

 

Del caso si parlò molto all’epoca: con totale mancanza di trasparenza e senza aver ottenuto alcun consenso, Facebook raccoglieva informazioni a tappeto sulle attività Internet di chi interagiva con il plugin del tasto “Like”, inserito in siti Web esterni alla piattaforma social. Quel che è più grave, il meccanismo di tracciamento riguardava anche gli utenti che durante la sessione Web in questione non risultavano loggati all’interno di Facebook. I dati raccolti, come noto, servivano (e servono) per profilare gli utenti, così da poter offrire una precisa segmentazione agli inserzionisti pubblicitari.

 

All’epoca la società di Menlo Park si difese sostenendo che quel genere di tracciamento era stato reso possibile da un (fantomatico) bug, e sottolineò di non aver mai conservato dati che permettevano l’identificazione di persone reali. In seguito alla vicenda, la raccolta dei cookie sui siti esterni a Facebook, attraverso il plugin del pulsante “Like”, ha smesso di essere applicata agli utenti non loggati.

 

Nel 2017 un giudice di una corte distrettuale di San Jose aveva chiuso il procedimento di class action, sostenendo che mancassero i presupposti legali per un risarcimento danni in favore dei richiedenti. Ora, però, il giudice della nona Us Circuit Court of Appeals di San Francisco si è espresso in senso contrario: è possibile pretendere un risarcimento danni a Facebook dal momento che l’azienda, evitando di chiedere il consenso per le attività di tracciamento, avrebbe violato diverse leggi (federali e californiane) sulla privacy e sulle intercettazioni. 

 

A distanza di nove anni, quindi, la vicenda non è ancora conclusa. Facebook ha replicato alla decisione della corte sostenendo che la class action è priva di fondamento e che la società continuerà a difendersi dall’ingiusta accusa.

 

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