27/01/2017 di Redazione

Trump è nazionalista anche sulla privacy, timori in Europa

Il presidente neoeletto ha firmato un ordine esecutivo che prevede una restrizione delle tutele del Privacy Act ai soli cittadini statuintesi e ai residenti permanenti. Dall'altra parte dell'oceano si temono interferenze con il Privacy Shield.

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Fra il muro da costruire al confine con il Messico e l'abolizione dell'Obamacare, non si può certo dire che il mandato di Donald Trump sia iniziato in sordina. Anche il mondo dell'informatica, del Web e del cloud computing e, soprattutto le relazioni fra Europa e Stati Uniti potrebbero essere fra le vittime involontarie delle scelte del neopresidente: un nuovo ordine esecutivo ridefinisce i confini del diritto alla privacy e lo fa ancora una volta (in perfetto stile Trump) in senso nazionalistico. Nel testo si legge che le agenzie governative dovranno rispettare i limiti del Privacy Act solo nei confronti dei cittadini americani e dei residenti permanenti, in possesso di Green Card.

Soltanto le loro informazioni personali saranno al sicuro da attività di controllo non necessariamente giustificate da ragioni di sicurezza e d'indagine, mentre le tutele del Privacy Act non varranno più per tutti i visitatori Esta o equipaggiati di visto e, ça va sans dire, nemmeno per gli immigrati. Insomma, un'applicazione perfetta del motto trumpiano “America first”. Che cosa c'entra l'Europa? Sui media e anche fra qualche parlamentare europeo, la notizia ha subito scatenato il timore che tutto il lavoro fatto per approvare il Privacy Shield in sostituzione del precedente Safe Harbor sia ora da buttare: il regolamento è servito a dare maggiori garanzie di privacy ai cittadini europei i cui dati “viaggiano” oltreoceano. E non solo a loro, ma a chiunque dal suolo del Vecchio Continente trasmettesse dati in terra nordamericana.

 

 

 

Alla luce del Datagate e delle rivelazioni di Edward Snowden, le preoccupazioni su possibili ingerenze di Nsa, Cia, Fbi e altre entità federali avevano reso necessario un giro di vite. Da qui i maggiori obblighi di trasparenza e i correttivi del Privacy Shield. Oggi lo “scudo” è non soltanto una garanzia per i singoli, ma una necessità giuridica per le aziende statunitensi che estendano oltreoceano le proprie attività (a meno di non firmare altre tipologie di contratto, comunque più laboriose da definire). La casistica include migliaia di siti Internet, piattaforme di e-commerce, servizi cloud di colossi Amazon, Apple, Google e Microsoft, social network come Facebook, Twitter e LinkedIn, e ancora telco, servizi turistici, assicurazioni, operatori postali e quant'altro.

Contattata dalla redazione di TechCrunch, una portavoce della Commissione Europea ha spiegato che il Privacy Shiled “non si basa sulla protezione prevista dal Privacy Act statunitense”. Molto rumore per nulla, dunque? Di certo ora serviranno maggiori chiarimenti sia alle istituzioni, sia ai cittadini europei che viaggiano oltreoceano o semplicemente affidano le loro informazioni personali al Web. Intanto Věra Jourová, Commissario europeo per la giustizia, la tutela dei consumatori e l'uguaglianza, ha già programmato una visita a Washington proprio per discutere di privacy e trattamento dei dati.

 

 

 

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