06/06/2016 di Redazione

Zuckerberg ricicla le password e gli hacker lo puniscono

Violati gli account Linkedin, Pinterest e Twitter del fondatore di Facebook: gli hacker hanno recuperato le credenziali di accesso dal data breach che colpì Linkedin nel 2012. Il Ceo del colosso di Menlo Park è ora alla berlina perché avrebbe utilizzato g

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La fuoriuscita di dati che colpì Linkedin nel 2012 potrebbe aver fatto vittime eccellenti. Il gruppo di hacker Ourmine ha rivelato domenica di aver recuperato dai database pubblicati online le credenziali di accesso di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, per i suoi profili su Instagram, Linkedin, Pinterest e Twitter. Per sostenere la propria tesi, gli attivisti hanno cambiato le pagine principali degli account di Zuckerberg: il defacing del profilo Twitter del giovane miliardario, pur negato inizialmente dallo stesso Ceo di Facebook, ha cominciato a rimbalzare in Rete e sono diverse le testate che riportano gli screenshot dello “sfregio”. Il numero uno del gruppo di Menlo Park avrebbe poi cambiato tempestivamente la password, grazie anche all’intervento diretto di Twitter, riportando la situazione alla normalità.

Tra i messaggi twittati dagli hacker si trova anche il seguente: “Ti trovavi nel database di Linkedin … messaggio diretto per la prova”. Mentre su Pinterest gli attivisti hanno cambiato il nome utente di Zuckerberg in “Hacked By OurMine Team”. Ma la smentita più forte che arriva dal quartier generale di Menlo Park riguarda ovviamente Instagram, parte della costellazione del social network blu.

“Nessun account o sistema di Facebook è stato violato”, ha spiegato a Venturebeat un portavoce della società. “Gli altri profili colpiti sono stati rimessi in sicurezza”. Zuckerberg è stato comunque messo alla berlina per aver utilizzato, con molta incoscienza, la stessa password per servizi differenti: un comportamento che non ci si sarebbe certo aspettato da una persona così influente nel campo tecnologico.

Il data breach che interessò Linkedin nel 2012 è tornato di recente alla ribalta: il social network professionale avrebbe infatti sottostimato la portata dell’attacco, credendo in origine di aver perso “solo” 6,5 milioni di credenziali contro i 117 milioni effettivamente venuti alla luce in seguito. I dati carpiti dai database di Linkedin sono stati poi messi in vendita sul sito The Real Deal, portale online di compravendita di beni illegali.

 

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