11/10/2017 di Redazione

Alibaba mette 15 miliardi di dollari nell'intelligenza artificiale

Il colosso cinese dell'e-commerce, dei pagamenti digitali e del cloud investirà la cifra per avviare sette laboratori di ricerca e sviluppo in altrettante città del mondo. Gli studi si focalizzeranno sul machine learning, sull'IoT, su computing quantisti

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Il vecchio stereotipo secondo cui le aziende cinesi si limiterebbero a copiare invenzioni altrui è destinato a morire definitivamente ora che Alibaba è pronto a investire il corrispettivo di oltre 15 miliardi di dollari in un'iniziativa di ricerca & sviluppo chiamata Damo Academy. L'acronimo sta per discovery, adventure, momentum and outlook ed è un modo per riferirsi agli ambiti tecnologici più innovativi, su cui il programma si focalizzerà: l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose, il computing quantistico, le interfacce uomo/macchina, la sicurezza di rete, il visual computing, le tecnologie al servizio dei pagamenti digitali e della finanza.

Quella del colosso dell'e-commerce, dei pagamenti digitali e del cloud è un'iniziativa internazionale, che prevede l'apertura di sette centri di ricerca in altrettante città del mondo. Oltre che a Beijing e Hangzhou, i futuri laboratori apriranno i battenti a Mosca, Tel Aviv, Israele, Singapore, San Mateo (in California) e Bellevue (nello stato di Washington). La collocazione dei centri di r&s è strategica, perché avvicinerà fisicamente i ricercatori di Alibaba alle università coinvolte nel progetto: la University of California Berkeley collaborerà attraverso il programma Rise Lab, ma è anche previsto il reclutamento di docenti del Mit, di Princeton , Harvard, della University of Washington della Columbia University e di alcuni atenei cinesi.

Non è difficile immaginare che Alibaba voglia reclutare promettenti ricercatori universitari, sulla scia di quanto già stanno facendo negli Stati Uniti aziende cinesi come Baidu (attraverso un laboratorio di ricerca ubicato in Silicon Valley e focalizzato su Big Data, intelligenza artificiale e deep learning), Tencent (nel 2018 avrà un presidio a Seattle) e Huawei. Quest'ultima ha avviato l'anno scorso una collaborazione con Berkeley, alimentata da 1 milione di dollari di fondi iniziali e destinata, neanche a dirlo, ad attività di r&s nel campo dell'intelligenza artificiale.

Dai software basati sugli algoritmi alla robotica, è ormai chiaro come la sigla “AI” non rappresenti un fuoco di paglia, ma una rivoluzione tecnologica che, un po' alla volta, sta modificando il rapporto fra utenti e dispositivi, fra clienti e retailer, fra internauti e Web, fra aziende dell'industria e modalità di produzione, e via dicendo. Se inizialmente i colossi statunitensi sono stati in prima linea (citiamo, fra le mille iniziative osservate in questi anni, l'alleanza a quattro teste fra Google, Microsoft, Facebook e Ibm), ora la concorrenza cinese sta recuperando terreno.

L'intelligenza artificiale, d'altra parte, sarà strumento indispensabile per far evolvere l'offerta di Alibaba e aiutarla a realizzare l'ambizioso, duplice obiettivo fissato per l'anno 2036: raggiungere due miliardi di clienti e creare 100 milioni di posti di lavoro. Numeri stratosferici, che coinvolgono certo la nazione più popolosa al mondo, ma che si allargano ben al di là della Cina.

 

I robot del magazzino di TMall, fabbricati da Quicktron

 

Con l'intelligenza artificiale certamente la società punterà al miglioramento dell'esperienza cliente, ma anche all'efficienza operativa e all'ottimizzazione dei costi, come già si sta osservando nei magazzini di logistica (i più grandi della Cina) inaugurati la scorsa estate a Huiyang. In questa struttura di proprietà di Tmall, che è parte di Alibaba Group, oltre al personale in carne e ossa lavorano una sessantina di robot equipaggiati di sensori di movimento, vista al laser e connettività WiFi.

 

 

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