Apple beffata dall’Fbi: i federali sbloccano l’iPhone 5c
Il Bureau statunitense ha deciso di ritirare la mozione contro la Mela perché sarebbe riuscito ad accedere ai dati contenuti nel dispositivo di Syed Farook, lo stragista di San Bernardino. Il colosso di Cupertino potrebbe ora chiedere alle forze dell’ordine di condividere il metodo utilizzato, il governo potrebbe classificare le informazioni come “top secret”.
Pubblicato il 29 marzo 2016 da Alessandro Andriolo

L’Fbi potrebbe aver messo la parola fine al caso che ha visto l’agenzia federale statunitense scendere in “guerra” contro Apple, per cercare di ottenere tramite una sentenza di un giudice lo sblocco dell’iPhone 5c appartenuto a Syed Farook, autore della strage di San Bernardino dello scorso dicembre. Il caso è probabilmente noto ai più e ha visto confrontarsi, sia in tribunale sia sui media, il Bureau a stelle e strisce e la Mela, in quella che è diventata una vera e propria battaglia sulla privacy. Ora, dopo settimane di querelle, l’Fbi ha annunciato di essere riuscito a sbloccare l’iPhone del terrorista anche senza il supporto di Cupertino. Di conseguenza, il Dipartimento di Giustizia ha deciso di ritirare la causa legale con cui aveva cercato di costringere Apple a creare una backdoor per accedere alle informazioni contenute nel dispositivo.
“Il governo è riuscito a entrare in possesso dei dati registrati nell’iPhone di Farook e, di conseguenza, non necessita più dell’assistenza di Apple come ordinato dalla corte […] in data 16 febbraio 2016”, si legge nel documento depositato dai federali presso il tribunale del distretto della California. Teoricamente, la parola finale dovrebbe spettare ora alla giudice Sheri Pym, colei che aveva siglato il primo ordine contro la Mela lo scorso febbraio.
La toga deve ancora firmare il documento di sospensione della causa, ma al momento non si vede il perché Pym non dovrebbe chiudere il caso. Infatti, secondo quanto sostenuto dal governo, l’accesso all’iPhone di Farook è stato eseguito per una “buona causa”: una motivazione sufficiente, per i federali, per mettere la parola fine alla questione. Ma, ovviamente, la risposta di Apple non si è fatta attendere.
Il J. Edgar Hoover Building di Washington, quartier generale dell'Fbi
Il colosso di Cupertino, che sin dall’inizio ha negato qualsiasi appoggio all’Fbi che implicasse la creazione di backdoor o copie contraffatte di iOs, ha diffuso un comunicato molto duro. “Sin dall’inizio, abbiamo contestato la richiesta dell’Fbi […] perché pensavamo che fosse sbagliata e che potesse creare un pericoloso precedente […]. Questo caso non avrebbe mai dovuto essere aperto. Continueremo ad aiutare le forze dell’ordine con le loro indagine, come abbiamo fatto finora, e continueremo ad aumentare la sicurezza dei nostri prodotti, in quanto le minacce e gli attacchi ai nostri dati diventano sempre più frequenti e sofisticati”.
Come già sostenuto in precedenza da Tim Cook, il comunicato della Mela si chiude con la richiesta di portare il dibattito a un livello nazionale, perché la questione ha riguardato temi fondamentali come “le libertà civili, oltre che la sicurezza e la privacy collettive”. Non è detto che Apple non decida ora di chiedere ai federali il pieno accesso alla tecnica utilizzata per sbloccare l’iPhone. L’Fbi, però, potrebbe opporre il segreto di stato e classificare le informazioni come “top secret”. In questo caso, sarebbe una vera e propria beffa per il gigante californiano.
“Credo che Apple lotterà fino alla fine, ma nel momento in cui l’Fbi decide di ritirare la mozione, per Apple potrebbe diventare difficile proseguire”, ha spiegato Riana Pfefferkorn, socio dello Stanford Center for Internet and Society che, in modo analogo a quanto fatto da numerosi gruppi hi-tech mondiali, ha depositato un “amicus brief” in sostegno al ricorso originario di Apple, proprio per supportare la decisione dell’azienda di Cupertino.
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