Il bitcoin compie dieci anni. Era il 31 ottobre 2008 quando online apparve il documento “A Peer-to-Peer Electronic Cash System” siglato dal misterioso Satoshi Nakamoto, considerato il padre della criptovaluta per eccellenza e di un nuovo modo di intendere il concetto di moneta stessa: un mezzo di pagamento completamente elettronico e dal sapore vagamente anarcoide, capace di liberare le persone dall’intermediazione (e quindi dalla tirannia) delle banche. Come per tutte le tecnologie, anche per il bitcoin dieci anni rappresentano un’era geologica. Da materia per nerd e appassionati, discussa esclusivamente su forum e canali dedicati, il settore delle criptovalute è arrivato l’anno scorso sulla bocca di tutti grazie all’incredibile rally del valore del bitcoin (e delle sue “sorelle”), capace di arrivare a sfiorare quota 20mila dollari.

Un fenomeno che si è però sgonfiato presto, facendo perdere soldi agli ultimi arrivati e facendo arricchire ulteriormente chi aveva annusato per tempo l’aria. Ma, a differenza di quanto sostengono i suoi numerosi detrattori, il bitcoin non è ancora morto. Pur avendo perso da dicembre 2017 circa il 70 per cento del suo valore, da diverse settimane viene quotato poco sopra i seimila dollari e, almeno per ora, sembra avere perso l’estrema volatilità che l’aveva caratterizzato fino alla scorsa estate.

Inoltre la tecnologia sottostante, vale a dire la blockchain, secondo alcuni è destinata a eguagliare (o addirittura a superare) l’impatto che ebbe l’avvento del Web. I registri distribuiti sono infatti sempre più studiati dalle grandi aziende, ad esempio, come metodi alternativi per tracciare le merci e ottimizzare i costi, grazie alle loro caratteristiche di trasparenza e di immutabilità dei dati memorizzati. Si è aperta l’era del cosiddetto Internet of valure.

I pionieri della materia ricordano però in questi giorni alcune date entrate ormai nella storia delle criptovalute, come il 22 maggio 2010, quando il programmatore Laszlo Hanyecz offrì diecimila bitcoin a chiunque gli avesse portato una pizza a casa. Allora il conto fu di 25 dollari, ma al cambio di oggi il valore della transazione sarebbe di circa 63 milioni. Non a caso ogni anno il 22 maggio si celebra il “Bitcoin Pizza Day”, proprio per ricordare quello sfortunato evento.

 

 

Sfortunato (per Hanyecz), ma sicuramente significativo se si guarda alla possibilità di utilizzare la creazione di Satoshi Nakamoto come mezzo di scambio, che dovrebbe essere la caratteristica principe delle monete tradizionali. Una promessa finora ampiamente disattesa dalle criptovalute, in quanto gli investitori (soprattutto quelli piccoli) sperano che un nuovo rally possa trasformarli nottetempo in milionari.

Sempre che i crack degli exchange, come quello di Mtgox del 2014, non contribuiscano invece a farli impoverire. Attualmente circolano circa 17,3 milioni di bitcoin, per una capitalizzazione di mercato di 109 miliardi di dollari. Inezie, se si pensa che la sola Apple ha passato quest’estate la soglia dei mille miliardi di valore. Complessivamente, tutte le criptovalute hanno una capitalizzazione di poco superiore ai 202 miliardi, con la creatura di Nakamoto che la fa da padrone. Seguono Ethereum, considerata una prima evoluzione tecnologica del bitcoin (20,3 miliardi) e Ripple (17,7 miliardi).

Come saranno i prossimi dieci anni dell’oro digitale? Difficile dirlo. I sostenitori mainstream delle criptovalute spingono per una maggiore regolamentazione, che permetterebbe di far uscire il bitcoin dall’alone di illegalità e mistero che ancora lo circonda (aprendo così di conseguenza le porte agli investitori istituzionali, come i grandi fondi di investimento).

La community di appassionati e programmatori che cura il codice del bitcoin, invece, vedrebbe una maggiore popolarità della moneta come un tradimento dei sogni originali di Nakamoto, che teoricamente non aveva pensato a questo strumento come mezzo per arricchirsi ma per proporre un’alternativa al sistema bancario.

Le aziende, come detto, stanno testando la fattibilità della blockchain in produzione. Infine, governi ed enti regolatori non sono ancora riusciti a muoversi in modo coordinato, reagendo scompostamente alle notizie che provenivano dall’attualità: dal divieto di transazioni emanato dalla Cina sin dal 2013 agli strali di colossi del credito come Jp Morgan.

Per non parlare degli ultimi studi scientifici, che sottolineano come l’estrazione del bitcoin (il mining) sia in grado di far aumentare la temperatura globale di due gradi entro il 2023. Al momento, quindi, la strada per il successo dell’oro digitale è tutta in salita. Ma, sotto diversi punti di vista, l’idea originaria di Nakamoto è geniale e porta con sé evidenti segni di una rivoluzione in fieri. Buon compleanno bitcoin.