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Effetto pandemia: gli italiani sono più aperti all’innovazione

Uno studio di Deloitte svela che in seguito all’emergenza sanitaria in Italia è cresciuto l’utilizzo di Web e servizi digitali. Per migliorare la società, però, l’innovazione dovrà mettere le persone al centro.

Pubblicato il 13 novembre 2020 da Redazione

Con la tecnologia gli italiani hanno fatto di necessità virtù: nelle settimane più critiche della “prima ondata” della pandemia di covid-19, molti hanno intensificato l’utilizzo di siti Web, applicazioni e servizi digitali, altri vi si sono avvicinati per la prima volta. E ora, complici le recrudescenze dei contagi di coronavirus e una situazione che non pare destinata a risolversi in tempi rapidissimi, quei cambiamenti sembrano destinati a diventare profondi e duraturi. Questa è la fotografia scattata da svariati studi condotti in questi mesi da società di ricerca e vendor, ed è anche quella emersa da una nuova ricerca di Deloitte, realizzata su un campione di oltre seimila cittadini italiani ed europei (fra cui anche rappresentanti e manager di una ventina di imprese operanti in diversi settori),

 

Dall’indagine è risultato che l’87% % degli italiani è a proprio agio nell’utilizzare le tecnologie digitali: una percentuale decisamente superiore al 77% di Regno Unito e Francia. Significativo è anche il dato sui pensionati italiani: il 59% ha capito, in seguito all’emergenza sanitaria, che le innovazioni digitali non sono difficili da usare.  Il 34% degli italiani ha scoperto lo shopping online durante il periodo di lockdown per beni non di prima necessità, il 32% ha scoperto l’e-banking.

 

Dunque la tecnologia è stata e sarà un supporto nella quotidianità, specie (ma non solo) in tempi di libertà ridotte e chiusure dovute a crisi sanitarie come quella attuale. Ma l’innovazione non può essere la panacea di tutti i mali, ammonisce Deloitte: se da una parte la tecnologia digitale ha aiutato a gestire una situazione di crisi inaspettata, abilitando anche dei cambiamenti strutturali, dall’altra sono emersi limiti e ostacoli. Le lacune infrastrutturali hanno giocato un ruolo in negativo: durante il lockdown i fattori più carenti sono stati l’accesso alla connettività veloce (secondo il 50% degli intervistati), l’accessibilità digitale dei servizi scolastici (49%) e la condivisione di dati tra le strutture sanitarie (46%). Il 44% degli italiani, inoltre, ritiene che i sistemi di monitoraggio della popolazione messi in piedi per contenere il contagio debbano essere migliorati. Finora l’analisi dei dati, come sappiamo, non ha permesso alla politica e alla sanità di contenere i contagi o di formulare previsioni attendibili sull’evoluzione della pandemia, né in Italia né nel resto del mondo.

 

L’innovazione che serve agli italiani

“Se da una parte l’innovazione digitale è stata in grado di aiutarci nell’emergenza e di far evolvere i nostri comportamenti gestendo la crisi”, commenta Andrea Poggi, innovation leader North South Europe di Deloitte, “dall’altro è anche evidente come sia necessario un approccio più consapevole e fuori dalla moda dell’innovazione guidata solo dai trend e dalle performance della tecnologia. Per declinare meglio le potenzialità e il valore che l’innovazione ci può fornire, è necessario leggerla attraverso una nuova prospettiva, che possiamo definire antropocentrica, che quindi mette l’uomo al centro in tutte le sue dimensioni. Questo è l’insegnamento del covid-19: abbiamo bisogno di innovazione ma di una innovazione vicina ai bisogni veri dell’uomo e capace di fornire una interazione che bilancia l’elemento virtuale e quello fisico”. 

 

Una dimostrazione del bisogno di tecnologia “antropocentrica”, come la chiama Deloitte, è il fatto che per il 55% degli italiani intervistati l’uso prolungato della app di messaggistica o videochat per parlare con i propri cari o amici abbia incrementato duranto il lockdown la voglia di contatto umano. Per il 36% degli italiani, inoltre, il processo di digitalizzazione non considera sufficientemente l’aspetto umano. "Non sempre l’innovazione riesce a soddisfare i bisogni reali”, prosegue Poggi, “e spesso non funziona se non vi è un’integrazione della dimensione fisica con quella digitale, una modalità ibrida evoluta. Ad esempio, con riferimento ai comportamenti di acquisto, ben il 44% degli italiani preferisce un mix tra canale fisico e digitale, mentre solo il 28% degli italiani vuole una relazione solo digitale e solo il 18% una relazione personale in una location fisica”.

 

Voglia di qualità nei servizi sanitari
Nel concreto, dunque, quali tecnologie innovative servirebbero davvero? Dal sondaggio emerge che il settore della salute del benessere e la mobilità sono quelli che più necessitano di un ripensamento in ottica antropocentrica. Per quanto riguarda
salute e benessere, bisognerebbe sviluppare un’offerta mirata che aumenti la qualità, anche percepita, dei servizi erogati verso i clienti, e preparare dei piani per gestire al meglio eventuali ulteriori emergenze.

 

Allo stato attuale, il 38% degli italiani ritiene che i tempi di attesa relativi ai servizi sanitari siano troppo lunghi, mentre il 43% vorrebbe che la ricerca e l’innovazione nei prossimi cinque anni si concentrassero sullo sviluppo di un’assistenza più veloce ed efficace. Se anche oltre della metà degli italiani preferisce la visita in presenza alla telemedicina, il 65% si dice disposto a utilizzare app di diagnosi e monitoraggio della salute. Il 60%, inoltre, sarebbe propenso a utilizzare soluzioni innovative relative a farmaci. Attualmente solo il 6% del campione italiano (contro il 16% di media europea) ritiene che il livello di innovazione e ricerca in ambito salute e benessere nel proprio Paese sia ottimo.

 

 

 

Una mobilità più smart
Per quanto riguarda la
mobilità, il bisogno di innovazione si lega soprattutto all’esigenza di servizi di trasporto alternativi ai mezzi pubblici di massa, dunque più sicuri rispetto a un virus che si trasmette con estrema facilità in ambienti affollati. I dati del sondaggio di Deloitte sono chiari: dalla scorsa primavera il 20% degli utenti ha completamente abbandonato l’uso dei trasporti pubblici, il 20% li usa meno rispetto a prima. In seguito alla pandemia è aumentato il ricorso alle automobili di proprietà (+39%) e mezzi alternativi come la bicicletta (+19%).

 

Ma l’automobile di famiglia non può essere una risposta sostenibile, né dal punto di vista ambientale né da quello economico. Fra dipendenti in cassa integrazione e attività sottoposte a restrizioni durante il lockdown, non stupisce che le immatricolazioni auto a maggio di quest’anno siano calate del 50% rispetto ai numeri di maggio 2019 (per l’intero 2020 si prevede una flessione del 37%). Le iniziative d’innovazione dovrebbero quindi mirare a introdurre tecnologie avanzate per una mobilità più ecosostenibile e condivisa, in linea con l’ideale della smart city. Fra gli intervistati italiani, il 53% pensa che sia necessario potenziare la rete di piste ciclabili negli anni a venire, il 49% desidera nuove soluzioni di mobilità avanzate, alternative alle automobili.

 

Tag: innovazione, smart city, italia, sanità, deloitte, coronavirus, covid-19

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