20/04/2017 di Redazione

Google è alle prese con un filtro anti pubblicità fatto in casa?

Secondo il Wall Street Journal, Big G starebbe sviluppando un ad-blocker per Chrome, in grado di eliminare soltanto le inserzioni che non rispettano alcuni standard qualitativi. Un progetto che lascia però aperti alcuni punti interrogativi.

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Google starebbe pensando a un ad-blocker per le versioni mobile e desktop di Chrome. Messa così, sembrerebbe una mossa autolesionistica del colosso di Mountain View, il cui business è incentrato prevalentemente sulla pubblicità (nell’ultima trimestrale la quota era di circa l’87 per cento): e in effetti ci sono tutti i presupposti per pensare al masochismo. Indagando però più a fondo sulle mosse di Big G si capisce che, in fondo, la situazione è diversa. Secondo il Wall Street Journal, il primo a riportare l’indiscrezione, il filtro potrebbe essere attivato di default su Chrome e servirebbe per bloccare soltanto certe tipologie di pubblicità, quelle che in sintesi danneggerebbero l’esperienza utente sul Web.

La fonte contattata dal Wsj, “familiare con i piani dell’azienda”, ha spiegato che l’ad-blocker potrebbe fare la sua comparsa nelle prossime settimane. Ma il progetto, ancora in fase di definizione, potrebbe anche saltare del tutto. Al centro degli sforzi di Google ci sarebbero le inserzioni invasive, come i pop-up, i video con riproduzione automatica e le pubblicità a tempo che coprono tutta la pagina Web quando l’utente vi accede.

In pratica, si tratta di una serie di formati bollati come inappropriati dalle ultime linee guida diramate a marzo dalla Coalition for Better Ads, un’organizzazione di cui fa parte anche Big G che si occupa di definire degli standard qualitativi per la pubblicità online. Letta da questa prospettiva, l’iniziativa del gruppo californiano sembra essere meritoria. Ma ovviamente non mancano gli aspetti critici.

Linee guida a parte, come si potrà essere certi che Google non bloccherà a propria discrezione banner e inserzioni “scomodi”? O i filtri funzionano a prescindere dal formato e dal contenuto, e anche in questo caso si potrebbe discutere sulla correttezza di utilizzarli e sul danno che possono arrecare a siti Web che vivono solo di pubblicità, oppure è meglio non attivarli del tutto.

 

 

È probabile quindi che il progetto di Google, considerato anche il sostanziale monopolio dell’azienda nel mercato dell’advertising online (circa l’80 per cento di quote), attiri le attenzioni del regolatorio. Secondo le stime riportate dal Wsj, il 26 per cento dei cittadini Usa utilizza oggi un ad-blocker, in particolare su desktop. A parte il caso dell’Asia, la diffusione di questi strumenti su dispositivi mobili stenta invece a decollare.

È lecito pensare che Big G tema la costante crescita dei filtri indipendenti e voglia provare a mettervi sopra un tappo, anche perché alcuni di questi strumenti applicano una tariffa alle società che vogliono bypassare il muro e continuare a far mostrare le proprie inserzioni agli utenti di Internet.

 

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