Google e Facebook non sono certo nuove alle accuse di pratiche monopolistiche, che danneggiano la concorrenza. Ora però per la prima volta in un atto d’accusa formale e piuttosto esteso - firmato da dieci Stati nordamericani - le due aziende vengono ritratte come dei monopolisti in combutta l’uno con l’altro per accaparrarsi i migliori frutti del mercato dell’advertising digitale. Formalmente, nel fascicolo aperto dal procuratore generale del Texas, Ken Paxton (sottoscritto dagli omologhi di Arkansas, Idaho, Indiana, Kentucky, Mississippi, Missouri, Nord Dakota, Sud Dakota e Utah) l’accusata è Google: l’azienda di Mountain View sarebbe colpevole di varie pratiche anticoncorrenziali, e la lista è davvero lunga. 

Per citare le principali, a detta degli accusanti Google obbligherebbe gli investitori pubblicitari a non fare investimenti su altre piattaforme Web, abuserebbe della propria posizione dominante per favorire sé stessa e sfrutterebbe le informazioni in suo possesso per prevalere sui concorrenti nelle aste online che fissano i prezzi dei prodotti pubblicitari. Una metafora sportiva riassume il concetto: “Nel mercato degli scambi elettronici, Google è allo stesso tempo lanciatore, battitore e arbitro”.

Il fascicolo riporta svariati esempi, con tanto di nomi (oscurati nella versione pubblicata online del documento). Il ruolo di Facebook sarebbe quello di un complice: l’azienda, secondo l’accusa, avrebbe stretto un accordo illegale con Big G per alterare i meccanismi delle aste.Come svela un documento interno di Google”, si legge nel fascicolo, “Google ha cercato di uccidere la competizione e lo ha fatto attraverso una ventaglio di tattiche di esclusione, incluso un accordo illegale con Facebook, sua maggiore potenziale minaccia competitiva, per manipolare le aste pubblicitarie”.

 

I ricavi di Google nel trimestre di luglio-settembre (Fonte: Alphabet)

 

Attraverso questo accordo Facebook può usufruire di prezzi di favore per i prodotti pubblicitari del canale mobile. “Qualsiasi collaborazione tra due concorrenti di tali dimensioni”, scrivono i procuratori generali, “avrebbe dovuto far scattare il più forte dei campanelli d'allarme sul rispetto delle regole antitrust”. La replica da Mountain View non si è fatta attendere. L’azienda ha spiegato che il programma Open Bidding (che regola i rapporti con varie piattaforme e reti di advertising digitale) include più di 25 aziende e Facebook Audience Network è solo una di esse. “Non c'è niente di esclusivo nel loro coinvolgimento e non ricevono dati speciali”, ha detto un portavoce di Google. Intanto il giro d'affari della pubblicità, nelle sue molteplici forme, continua a crescere per la principale delle aziende del gruppo Alphabet: genera oltre 37 miliardi di dollari a trimestre, considerando il periodo di luglio-settembre di quest'anno (erano stati poco meno di 33,8 miliardi l'anno precedente). La sola YouTube è passata da un fatturato trimestrale di 3,8 miliardi di dollari a oltre 5 miliardi di dollari.