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I colossi digitali preoccupano anche l’Agcom, ci sarà da lavorare

Nella sua ultima relazione annuale alla Camera prima della scadenza del mandato, il presidente dell’authority, Angelo Marcello Cardani, punta il dito sullo strapotere di Facebook, Google & Co. Senza mai citarli.

Pubblicato il 12 luglio 2019 da Valentina Bernocco

Anche l’Agcom ha paura di Google, Facebook, Instagram, Whatsapp, Twitter, LinkedIn, Amazon e le altre “piattaforme digitali”, di cui oggi tanto si discute. Mentre in Francia viene approvata una web tax ricalcata sulla proposta Ue, e mentre Donald Trump sproloquia a proposito di social network e di criptovalute (la stampa statunitense si è sbizzarrita con le battute sarcastiche dopo il “social media summit” organizzato dalla Casa Bianca, senza però invitare rappresentanti di Facebook o di Twitter), in Italia risuona l’ultimo e preoccupato messaggio di Angelo Marcello Cardani in qualità di Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 

 

Ultimo perché, dopo sette anni in carica, il prossimo 26 luglio l’economista vedrà scadere il proprio mandato (e sull’identità di chi occuperà la sua poltrona pende ancora un punto interrogativo) e dunque quella di ieri è stata la sua ultima relazione annuale alla Camera. Preoccupato perché diversi indicatori dipingono, ancora una volta, un quadro critico per i settori delle telecomunicazioni e dell’editoria in Italia. E mentre la carta stampata e le emittenti televisive continuano a perdere terreno, in termini di raccolta pubblicitaria e diffusione, le famigerate piattaforme digitali avanzano, con ricavi che “crescono a doppia cifra da molti anni, avviandosi a valicare, in termini di valore, la soglia dei tre miliardi di euro”, ha illustrato Cardani.

 

Il difficile equilibrio nelle telecomunicazioni

Quello delle telecomunicazioni è da anni, ormai notoriamente, un settore in cui i vendor risentono dell’abbassamento delle tariffe, conseguenza dell’accresciuta competizione. Potrebbe essere una buona notizia per gli utenti, ma è anche vero che fra l’anno 2011 e il 2018 il mercato delle telecomunicazioni in Italia ha perso un quarto del proprio valore. Il presidente di Agcom ha anche messo in dito nella piaga del digital divide, ricordando che l’Italia presenta “un ritardo nella penetrazione dei nuovi servizi a banda larga veloce,

con una percentuale del 15% della popolazione rispetto al 35% dell’Unione Europea”.  

 

 

Si potrebbe a questo punto osservare che il tempo farà maturare i frutti degli investimenti delle telco nel 5G, tariffe permettendo (Vodafone e Tim hanno già lanciato le prime offerte commerciali nelle città, poche, già coperte dalle nuove infrastrutture), e che gli accordi stretti tra Open Fiber e i principali carrier porteranno servizi di accesso su fibra ottica anche nelle aree meno densamente popolate del territorio italiano. Ma è vero, come fatto notare da Cardani nella sua relazione, che in Italia “la copertura con reti ultra veloci si caratterizza per un roll-out più lento (oggi del 24% rispetto a una media europea del 60%). D’altra parte, i risultati degli ingenti investimenti pubblici e privati verso l’effettiva disponibilità delle reti si potranno apprezzare appieno solo a partire dal prossimo anno”.

 

Insomma, in gioco ci sono da un lato gli interessi degli operatori telco e dall’altro quelli (di connettività ed economici) dei consumatori. Cardani ha assicurato che “in questi anni, l’intervento dell’Autorità, sia sulla rete fissa sia sulla rete mobile, ha inteso garantire il corretto bilanciamento fra l’esigenza di sviluppare infrastrutture di nuova generazione e quella di mantenere un adeguato livello competitivo del mercato, che si traduce in benessere del consumatore. Non è stato agevole e forse lo sarà ancor meno nel prossimo futuro. È certamente una delle sfide più importanti che attendono l’Autorità di domani”.

 

Le piattaforme digitali fanno paura
C’è però anche un’altra sfida, non meno cruciale: in un mondo dominato dal Web, dai social network e dalle app, come poter correttamente arginare il potere (non più solo economico, ma di impatto sulla società) dei colossi Faang? Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google, ma anche altri fornitori di servizi di dati, come le cinesi Alibaba e Tencent, continuano a espandere la propria influenza al di là dello schermo di un Pc o di uno smartphone. Gli esempi sono innumerevoli, ma basti pensare alle sperimentazioni sulle vetture driverless di Waymo (la ex Google Car) e di Apple, alla copertura Internet satellitare con i palloni aerostatici di Loon (altro progetto di Alphabet) o i satelliti di Amazon, e ancora al cloud computing di Aws e di Google Cloud. 

 

Angelo Marcello Cardani, presidente di Agcom uscente

 

Le grandi aziende citate da ormai vent’anni, e sempre di più e sempre meglio, lucrano sui dati degli utenti, trasformati in profitti attraverso l’advertising e altre attività. Questo fenomeno, ormai entrato nelle fondamenta dell’economia digitale, si sta caricando di implicazioni e di incognite. “Tutti gli studi su Big Data e sugli sviluppi del machine learning e dell’intelligenza artificiale mettono in luce il problema del deficit di conoscenza, tra le persone, dei meccanismi della data economy”, ha detto il presidente di Agcom. “Sappiamo che la disponibilità di Big Data ha ampliato in misura esponenziale la possibilità di estrarre valore dai dati medesimi; ma sappiamo altresì che sussiste una diffusa ignoranza digitale nella maggioranza delle persone che quotidianamente, talora senza neanche accorgersene, cede gratuitamente i propri dati personali ai grandi aggregatori”. 

 

Non esistono soluzioni semplici per un problema tanto complesso, però possiamo notare come l’introduzione del Gdpr, nella primavera del 2018, si sia già tradotta in punizioni molto più severe per le aziende che mettono a repentaglio i dati degli utenti, la loro privacy e sicurezza. Dai 500 milioni di sterline di multa affibbiati a Facebook per il grave caso di Cambridge Analytica, le authority europee (in questo caso, la britannica Ico) sono passate a richiedere sanzioni centinaia di volte più pesanti, come quella da oltre 183 milioni di sterline di British Airways e quella da 99 milioni di sterline di Marriott International. La strategia più utile, tuttavia, a detta di Cardani non è quella di punire i colpevoli e i negligenti quando il danno è fatto: bisogna non solo multare ma anche prevenire i data breach e gli abusi sui dati definendo con maggiore chiarezza delle policy condivise. Di certo il futuro presidente dell’Agcom avrà parecchio da lavorare.


 

Tag: telecomunicazioni, italia, web, agcom, telco, Faang, piattaforme digitali

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