19/11/2016 di Redazione

Il lavoro smart piace, ma desta ancora preoccupazioni

Secondo un’indagine sponsorizzata da Citrix, il 72% degli addetti alle Hr ha ben presente le necessità del lavoro flessibile, ma la percentuale di adozione “ufficiale” è ferma al 44%. E permangono timori tecnologici, culturali e di altro tipo.

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La strada dello smart working è certamente avviata, ma non è tutta in discesa. Diversi ostacoli oggi rallentano l’adozione di strumenti e metodi di lavoro flessibili: smartphone, tablet, servizi cloud per la condivisione e il dialogo fra colleghi, soluzioni per la virtualizzazione dei desktop e altre che permettono di essere produttivi anche lontano dall’ufficio. La voglia di procedere in questa direzione ha contagiato la maggior parte degli addetti alle risorse umane, e tuttavia permangono i timori. Così ha svelato una ricerca condotta da Ales Market Research per conto di Citrix, intervistando più di trecento responsabili Hr e addetti con funzioni di responsabilità.

Il dato più generale è quello sulla diffusione dello smart working: attualmente, il 44% delle aziende lo ha adottato ufficialmente e lo sostiene. Più elevata, 60%, è la percentuale di chi accetta che i dipendenti utilizzino dispositivi di proprio possesso, una pratica nota come bring your own device (Byod) e che rappresenta uno degli ingredienti del lavoro smart. Chi opera nel reparto Hr sembra essere particolarmente sensibile alla questione del lavoro da remoto: il 72% ha ben presente le esigenze alla base di questa modalità.

Oggi ancora non sempre esistono delle regole definite, dato che solo nel 61% dei casi (la percentuale sale fino al 70% al crescere della dimensione d’azienda) è già stata definita una policy specifica per il lavoro flessibile. Il 66% ha, invece, affermato che è intenzione dell’azienda adottare tali regolamenti in futuro.

 

I pro e i contro del modello flessibile
Ma perché piace o, in certi casi, non piace il lavoro smart? L’84% degli intervistati incorona come primo vantaggio la maggiore flessibilità offerta ai dipendenti aziendali, che possono dunque connettersi ai propri dati e applicazioni da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Per un quasi analogo 81%, inoltre, un modello di questo tipo rende più appetibile un posto di lavoro.

È anche però corposa, 52%, la quota di coloro che intravedono un “pericolo concreto per la dimensione sociale dell’azienda”, mentre un ancor maggiore 57% teme che la mancanza di controllo possa impattare negativamente sulle prestazioni dei lavoratori meno ligi al dovere. Oltre alla paura delle conseguenze, esistono anche perplessità su ostacoli di diversa natura – culturali, tecnologici, normativi – che rallenterebbero l’adozione di un modello operativo smart. La maggior parte delle organizzazioni, il 55%, non si sente pronta a supportare lo smart working dal punto di vista tecnologico; il 56% ritiene di non disporre di una cultura aziendale adeguata; il 57% parla di mancanza di regole definite e di responsabilità chiare; il 48% ha delle preoccupazioni in merito alla sicurezza.

 

 

Anche in Italia sono sempre di più le aziende che percepiscono lo Smart Working come un driver per il successo del loro business”, ha commentato Benjamin Jolivet, country manager di Citrix Italia, South Eastern Europe e Israele. Affermazione confermata da un dato del Politecnico di Milano, secondo cui attualmente circa 250mila professionisti italiani già sfruttano le modalità di lavoro smart. “Naturalmente, la strada non è tutta in discesa”, ha precisato Jolivet, “ma anche in Italia la cultura del lavoro sta cambiando e sono sempre di più le aziende che pensano all’ambiente di lavoro non più come a un luogo fisico, bensì come a uno virtuale sempre disponibile che permetta l’accesso alle app e ai dati in qualsiasi luogo e da qualsiasi dispositivo”.

 

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