21/12/2018 di Redazione

Il matrimonio fra cloud e virtualizzazione ha funzionato

Ambienti informatici eterogenei, gestiti con l'approccio software-defined, sono la via di accesso alla trasformazione digitale. Ce ne parla Henri Van der Vaeren, vice presidente per la regione Semea di Vmware.

immagine.jpg

In principio era la virtualizzazione dei server, una vera rivoluzione tecnologica che ha permesso alle risorse di calcolo fisiche di diventare “astratte” per mettersi al servizio delle applicazioni in modo più efficiente ed economico. Oggi questo non basta più. Ai tempi del cloud serve un'agilità ancor maggiore e, dato che il cloud nelle aziende è soprattutto ibrido, servono tecnologie capaci di fare da ponte tra nuvola e on-premise. Per questo Vmware punta su questo approccio, combinandolo alla virtualizzazione o meglio a una virtualizzazione estesa all'intero data center e non più solo ai server. La sesta software house al mondo per fatturato (7,86 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2017, un quinto dei quali reinvestiti in ricerca & sviluppo) è convinta che il mondo del cloud computing si possa conciliare con le macchine virtuali. Henri Van der Vaeren, vice presidente per la regione Semea (Europa meridionale, Medio Oriente e Africa), ci racconta la strategia di questa “nuova” Vmware.

 

Si parla molto di trasformazione digitale, ma che cosa significa per le aziende dal vostro punto di vista?

Siamo un punto di riferimento per le tecnologie del software-defined data center, o private cloud che dir si voglia. Ma oggi le aziende ci richiedono soluzioni di livello enterprise per il cloud ibrido, che assicurino agilità ma anche qualità, dunque garanzia di rispettare gli Sla. Da un paio di anni abbiamo lanciato quella che chiamiamo strategia multi-cloud e che significa permettere ai nostri clienti di essere agili.

 

Che cosa intendete per “agilità”?

I nostri clienti possono scegliere su quale cloud collocare le proprie applicazioni a seconda del fatto che siano mission-critical oppure no, e possono spostare una macchina virtuale da un ambiente pubblico a un privato, e viceversa, in modo semplice. Se anche le applicazioni risiedono in ambienti differenti, la nostra tecnologia fa da raccordo. Insomma si può avere un'unica archiettura, ma con l'agilità di potersi muovere tra un cloud e l'altro.

 

Lasciate libertà sulla scelta del fornitore o dei fornitori?

Siamo neutrali sulle scelte del cliente, non poniamo limiti né sull'hardware o né sul cloud. Abbiamo stretto accordi con i principali fornitori, a partire da Amazon Web Services e da Ibm, mentre in Cina abbiamo avviato un'alleanza analoga con Alibaba. Contiamo, inoltre, su una rete di quattromila partner che in tutto il mondo vendono le nostre tecnologie o soluzioni basate su di esse. Con le tecnologie di CloudHealth, società da noi recentemente acquisita, aiutiamo ad avere visibilità e a gestire i costi.

 

 

 

Henri Van der Vaeren, vice presidente Semea di Vmware

 

 

Come si conciliano cloud e virtualizzazione?

Attraverso il software virtualizziamo qualsiasi tipo di hardware in qualsiasi tipo di architettura, on-premise e nel cloud, per incrementare l'efficienza e diminuire i costi. La virtualizzazione si applica al computing, al networking di reti Lan e Wan e all'archiviazione dei dati, su qualsiasi dispositivo end user, dunque su computer da scrivania, su portatili e telefoni. Per modernizzare le applicazioni serve un'infrastruttura informatica altettanto moderna.

 

Come si potrebbe raccontare, in sintesi, la Vmware di oggi?

È una società che ha vent'anni di storia alle spalle ma proiettata al futuro. Cresciamo non solo sulla base dei prodotti legacy ma anche nelle soluzioni più recenti, lanciate negli ultimi anni. E stiamo già pensando al futuro, quando si potrà parlare di self-driving data center: un'evoluzione del software-defined su cui stiamo investendo molto. Attraverso tecnologie che analizzano ogni secondo le richieste e il funzionamento delle applicazioni, anche con il machine learning, il data center potrà adattarsi in automatico ai carichi di lavoro. Puntiamo molto anche sull'Internet of Things, considerando che secondo le previsioni nel 2020 esisteranno 50 miliardi di oggetti connessi. Ma probabilmente saranno molti di più.

 

Da qualche mese Raffaele Gigantino è in carica come country manager. Quanto è importante per voi l'Italia?

È un mercato in crescita, nonché uno tra i primi cinque della regione Semea. Continueremo a investire e ad assumere nuove persone per l'area marketing e vendite, sia a Milano sia a Roma.

 

ARTICOLI CORRELATI