Vietate le applicazioni di cryptomining sul Google Play Store: lo ha annunciato la società del gruppo Alphabet, a pochi mesi dalla decisione di Apple che aveva imposto lo stesso veto nel suo negozio digitale. Restano escluse ammessi su entrambi i marketplace le applicazioni che permettono agli utenti di gestire la produzione da remoto, sfruttando ad esempio le piattaforme cloud.
L’obiettivo dei due colossi tecnologici è quello di limitare i rischi che un utilizzo improprio delle app di produzione di monete virtuali può generare. Spesso i dispositivi “sfruttati” per estrarre criptovalute mostrano rallentamenti del sistema e talora incorrono in danni irreversibili alle batterie, danni a cui iniziano ad affiancarsi quelli di programmi malevoli veri e propri, che puntano al furto di dati.
La società di Mountain View ha già bannato le estensioni di mining di criptovalute sul suo browser Chrome. E anche questa nuova decisione rientra nel piano di banche e compagnie tecnologiche di affrontare gli aspetti più pratici del mondo delle monete virtuali.
Intanto la più famosa delle criptovalute, il Bitcoin, è scesa anche se per poco al di sotto degli 8.000 dollari di valore. Alla base, quello che Mati Greenspan, analista per eToro, definisce come un “risk-off mood”: gli investitori hanno voluto ridurre la propria esposizione alle criptovalute, vendendo titoli di società tecnologiche e Web in favore di altri assett ad alto rischio. La cessione è partita dalle azioni Faang, cioè quele di Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google, per poi riflettersi anche sui mercati di criptovalute e del Bitcoin. La moneta ieri ha perso il 2,48% del proprio valore.