Investimenti e capacità d’innovazione, l’Italia non supera l’esame
Uno studio di Ambrosetti evidenzia l’eccellenza italiana nella ricerca accademica. Ma siamo nei piani bassi della classifica degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Pubblicato il 26 maggio 2022 da Redazione

L’Italia non ha ancora superato alcune sue storiche contraddizioni, quelle di una nazione che vanta cervelli, e in particolare ricercatori di eccellenza, ma che non riesce a scaricare a terra, come si suol dire, il suo potenziale d’innovazione. Il profilo duplice del nostro Paese emerge chiaramente dall’ultimo studio di Ambrosetti, che posiziona l’Italia al primo posto (su 22 Paesi a economia avanzata analizzati) per quanto riguarda la qualità e i risultati della ricerca scientifica ma nei piani bassi della classifica, al quintultimo posto, per quanto riguarda la capacità d’innovazione.
La classifica frutto della comparazione di diverse fonti di informazioni, tra cui il “Digital Economy and Society Index” (Desi) della Commissione Europea, i dati delle camere di commercio sul numero di startup attive sul territorio italiano, il rapporto tra investimenti e Pil e anche la quantità di ricerche accademiche pubblicate, il numero di brevetti registrati e gli afflussi e deflussi di studenti dalle nostre università. La Innotech Community di The European House - Ambrosetti ha quindi analizzato questi dati, e altri relativi agli 21 Paesi, alla luce di 14 Kpi e ha tradotto i risultati in un indice.
I punti deboli e le potenzialità dell’Italia
L’Italia, si diceva, è solo al 18esimo posto per capacità di innovazione, con un punteggio di 3,3 e ben distante dai Paesi in testa alla classifica, cioè Stati Uniti (con un punteggio di 5,1) Israele, Germania e Austria (secondi classificati a pari merito, con un punteggio di 4,6). Svettiamo su tutti per quanto riguarda l’efficienza e la qualità della ricerca accademica, con 1.594 citazioni ogni 100 ricercatori.
Ma d’altra parte siamo solo al 18esimo posto per investimenti in ricerca & sviluppo e al 19esimo per numero di brevetti registrati, due fatti che evidenziano una scarsa fiducia nell’innovazione e una scarsa capacità di concretizzazione dell’innovazione stessa. E lo scarto è ampio: se pensiamo che la Germania investe in R&S , i 25,4 miliardi di euro italiani appaiono ben poca cosa. Solo l’1,5% del Pil italiano viene destinato alla ricerca, contro il 2,2% della media Ue. E trova conferma il noto problema della fuga dei cervelli: siamo all’ultimo posto in classifica per quanto riguarda la capacità delle nostre Università di attrarre e trattenere gli studenti. L’Italia è, infatti, il Paese con il peggior saldo positivo tra studenti in entrata e studenti in uscita (anche se sarebbe utile capire quanto contribuiscano al risultato i programmi Erasmus, che possono rispondere non solo a un desiderio di fuga ma anche alla volontà di sperimentare una realtà diversa per poi tornare in patria).
In quanto a numero delle startup non siamo messi male: 234 per milione di abitanti, valore superiore alla media dell’Unione Europea (che è di 190) ma lontanissimo dal primato dell’Estonia, di 865 startup per milione di abitanti. Inoltre nello Stivale la concentrazione di neoimprese innovative è alquanto disomogenea, concentrata soprattutto nelle due principali città: il 18,7% del totale è a Roma, il 10,9% è a Milano.
“Dal rapporto emerge un’Italia con alcuni importanti punti di forza, come la bioeconomia e la capacità dei nostri ricercatori di produrre eccellenza scientifica, ma allo stesso tempo frenata e con grandi opportunità da cogliere per quanto riguarda la capacità di costruire un solido ecosistema dell’innovazione, condizione essenziale per accelerare il cammino verso lo sviluppo sostenibile e la Super Smart Society”, ha commentato Valerio De Molli, managing partner & Ceo di The European House - Ambrosetti.
Quattro strategie per trasformare l’Italia
Per diventare una nazione più “smart”, non solo innovativa ma sostenibile, resiliente e umano-centrica, l’Italia dovrebbe puntare con decisione sulla robotica, sulla bioeconomia, sulle tecnologie di metaverso, sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, e su decarbonizzazione e transizione ecologica. In particolare, il report di Ambrosetti avanza quattro proposte programmatiche.
“Innanzitutto”, ha proseguito De Molli, “bisogna orientare le risorse del Pnrr verso progetti in grado di massimizzare il potenziale di innovazione che già esiste nel Paese. In secondo luogo, creare un meccanismo virtuoso per tradurre il nostro primato di ricerca scientifica in innovazione concreta, affidando un ruolo chiave agli Uffici di Trasferimento Tecnologico. È necessario poi trasformare l’Italia in un ‘Paese per Unicorni’, promuovendo riforme a sostegno dell’imprenditorialità innovativa e dei finanziamenti di Venture Capital. Lanciare, infine, un New Deal delle competenze per preparare i cittadini e le aziende italiane di oggi e di domani a prosperare in una società digitale e sostenibile”.
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