12/07/2021 di Redazione

Istat: persi 735mila posti di lavoro, ma digitale è resilienza

Secondo il Rapporto annuale 2021 dell’istituto di statistica, quest’anno il Pil crescerà del 4,7%. Minore l’impatto del covid sulle imprese che avevano investito in digitalizzazione.

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La pandemia di covid ha causato in Italia un tremendo shock economico e sociale, facendo perdere in poco più di un anno circa 735mila posti di lavoro (nel conteggio fatto a maggio 2021 rispetto al primo trimestre 2020) e 8,9 punti percentuali al Pil. Questo dicono i dati di Istat, riassunti del nuovo “Rapporto annuale 2021”. Il covid ha mandato in picchiata i consumi interni e ha anche aumentato l’incidenza della povertà assoluta, ha contribuito ad aumentare il tasso di abbandono scolastico tra i giovani italiani e ha fatto crollare le nascite e i matrimoni, oltre a portare il numero dei decessi ai livelli mai così alti dal secondo dopoguerra. Fortunatamente, nel report di Istat c’è anche qualche tratto positivo, che lascia ben sperare per la ripresa economica e sociale dell’Italia.

“La recessione globale è stata violenta e di breve durata, con un rimbalzo favorito dalle misure di sostegno e una ripresa dell’attività economica in tutte le principali economie”, scrive Istat. Per quest’anno è previsto un rialzo del Pil del 4,7%, stima abbastanza in linea con quella della Commissione Europea (che per l’Italia pronostica un +5% per il 2021 e un ulteriore +4,2% per il 2022). Nel primo trimestre si sono osservati “forti miglioramenti nella manifattura, nelle costruzioni e in alcuni comparti del terziario e anche le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive (in base ai risultati dell’indagine sui climi di fiducia di imprese e consumatori)”, spiega l’istituto di statistica.

Il digitale e la resilienza delle aziende
Una lezione emersa dalla pandemia è il rapporto tra digitale e resilienza. Sappiamo che, fatta eccezione per l’agroalimentare/Gdo e la farmaceutica, gli altri settori del mondo imprenditoriale hanno tutti, chi più chi meno, patito le conseguenze dei lockdown e dell’incertezza economica dettata dal covid. Nel primo trimestre di quest’anno, 15 ambiti manifatturieri su 23 hanno però registrato ricavi in crescita e nove hanno recuperato i livelli di fatturato pre-crisi, mentre permangono ancora difficoltà per i tour operator, alberghi e ristoranti. 

A prescindere dai settori, si sono dimostrate più resilienti le imprese che avevano alle spalle investimenti in digitalizzazione, capitale umano, ricerca e sviluppo, avviati già prima della pandemia. Molte altre hanno puntato sulla tecnologia come risposta all’emergenza, incrementando l’uso di strumenti digitali sia per consentire lo smart working sia per diversificare i canali commerciali (per esempio con l’e-commerce).

Prima della pandemia, nel biennio 2018-2019, su un campione di imprese analizzato da Istat il 22,5% poteva definirsi “non digitalizzato”, non avendo effettuato alcun investimento in tecnologie digitali. Altrettante, il 22,2%, erano imprese “asistematiche” nei confronti della tecnologia, cioè disponevano di Pc, connessioni Internet e almeno un software gestionale; la aziende “costruttive”, il 35,2%, usavano in aggiunta a questo anche alcune applicazioni avanzate (come Internet mobile) e avevano previsto investimenti per la sicurezza informatica. La parte restante era costituita da un 17,1% di aziende “sperimentratrici”, che già usavano i Big Data e altre tecnologie di frontiera, e da un 3% di imprese “digitalmente mature”, in cui le applicazioni digitali erano estese a tutti i processi aziendali.

(Infografica: Istat, "Rapporto annuale 2021")

 

A fine 2020 Istat ha chiesto a un ampio campione della stessa popolazione di imprese (quelle il cui giro d’affari era calato di non oltre il 10% in seguito alla pandemia) quali strategie avessero adottato in risposta all’emergenza e quali volessero adottare nel 2021. Considerando sia le azioni difensive immediate  e sia i piani di crescita,  ne è emersa “una maggiore reattività delle imprese più strutturate, anche dal punto di vista tecnologico”. Tra le imprese “digitalmente mature”, le più evolute, solo il 4,1% ha dovuto ridimensionare le proprie attività durante l’anno della pandemia, mentre le percentuali sono più che doppie nelle altre categorie.  

L’innovazione prosegue dopo il covidIn generale, le imprese con maggiori capacità tecnologiche nel 20% dei casi vogliono accelerare nel percorso di dematerializzazione della documentazione e di automazione dei processi aziendali. Inoltre confermano, laddove ci siano sufficienti competenze, l’intenzione di adottare un modello organizzativo “4.0”, fortemente digitalizzato. Terzo punto, sono attive nella ricerca di collaborazioni e partnership con soggetti esterni. Dall’indagine emergono due strategie particolarmente rilevanti per le imprese nell’immediato futuro: la riorganizzazione degli spazi e dei processi di lavoro e un ulteriore sforzo di innovazione per lanciare nuovi prodotti e servizi o per introdurre differenti processi produttivi.

Il rapporto diretto fra maturità digitale e capacità di ripresa era già emerso da un’altra indagine, la “Digital Business Transformation Survey” condotta da The Innovation Group su un campione di aziende italiane ed enti della Pubblica Amministrazione. Il 49% dei manager e dei responsabili IT intervistati ha detto che la trasformazione digitale della propria azienda è stata accelerata dalla pandemia, mentre per il per il 31% non ha influito sui progetti in corso.  Quest’anno, tra le altre cose, le organizzazioni continueranno a investire in trasformazione digitale (nel 29% dei casi), nello smart working (26%) e nell’automazione dei processi (22%).

 

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