L’AI generativa potrà rimpiazzare il 18% dei posti di lavoro
Uno studio di Goldman Sachs stima un impatto negativo sull’occupazione nel medio termine, pari a 300 milioni di posti di lavoro persi.
Pubblicato il 05 aprile 2023 da Valentina Bernocco

L’intelligenza artificiale generativa continua a stupire e anche a preoccupare, con progressi sempre più rapidi e capacità di comprensione, elaborazione e creazione di contenuti oramai raffinatissime. E non ci sono solamente ChatGPT, sviluppato da OpenAI e portato avanti da Microsoft, o il suo “rivale” sviluppato da Alphabet, Bard, perché a ritmo incalzante vengono create e rese disponibili online applicazioni per la scrittura di articoli giornalistici e curriculum vitae, la programmazione software, la creazione di immagini simil-fotografiche e di video di animazione, la composizione di brani musicali e altro ancora. È notizia recente il lancio da parte di Meta di un nuovo algoritmo di riconoscimento delle immagini chiamato Segment Anything Model, che sa identificare oggetti all’interno di fotografie o video anche se mai “incontrati” precedentemente in fase di training. In futuro potrebbe essere usato per riconoscere quello che osserveremo attraverso visori di realtà aumentata, oppure potrebbe fornire supporto in svariati campi, dall’agricoltura alla ricerca scientifica.
Il mondo dell’AI naturalmente non si limita all’intelligenza artificiale generativa e ha cominciato a svilupparsi ben prima che OpenAI diventasse l’azienda più chiacchierata del momento. Nell’ultimo decennio, almeno, il machine learning e le tecnologie di automazione capaci di sostituirsi all’uomo hanno preso piede in ambiti disparati, dall’industria al supporto clienti, dal marketing alla finanza, fino ai software di sicurezza informatica. Si è spesso sentito dire che l’AI non è una vera minaccia per l’occupazione, perché può sostituirsi all’uomo in attività non intellettuali e a basso valore aggiunto, ma creando al contempo nuove professioni e posti di lavoro più qualificati.
Tutto questo vale ancora, alla luce delle ultime evoluzioni tecnologiche e di quelle che si prospettano? Un nuovo studio di Goldman Sachs stima che a livello mondiale, in un orizzonte di medio periodo, circa 300 milioni di posti di lavoro (equivalente a tempo pieno) potrebbero sparire a causa dell’intelligenza artificiale generativa.
Le economie emergenti sono maggiormente esposte al rischio di sostituzione rispetto ai Paesi economicamente sviluppati, ma in generale si può stimare che l’AI potrà rimpiazzare il 18% della forza lavoro mondiale. Le stime, tra l’altro, sono conservative e le percentuali inferiori a quelle di altri studi simili, in cui vengono però considerate nel calcolo dell’impatto anche le tecnologie di robotica non basate su AI.
Secondo gli analisti di Goldman Sachs, nelle professioni amministrative verrà automatizzato il 46% delle attività, in quelle di ambito legale il 44%, nell’architettura e nell’ingegneria il 37%. La minaccia è più attenuata per chi lavora nell’ambito dell’edilizia (dove l’automazione potrà coinvolgere il 6% delle attività), delle installazioni e riparazioni (4%) e della manutenzione (1%). Già oggi in Europa e negli Stati Uniti circa un quarto dei posti di lavoro potrebbero essere trasformati da una parziale automazione basata su AI.
Il cambiamento tecnologico, fanno notare gli autori dello studio, dal dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta ha creato nuove opportunità di lavoro allo stesso ritmo con cui le ha cancellate, mentre dagli anni Ottanta in poi l’impatto sull’occupazione è stato negativo. L’analisi di Goldman Sachs suggerisce che l’AI generativa avrà anch’essa un impatto negativo sull’occupazione almeno nel breve termine, non troppo diverso da quello di altre tecnologie informatiche che hanno segnato la storia contemporanea (pensiamo ai computer). Se non altro, l’AI migliorerà la produttività (consentendo di fare di più in tempi più rapidi e a costi inferiori) ma soprattutto favorirà la domanda di nuove figure professionali.
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