L’attacco olandese e la difesa Facebook: non siamo peggio di altri
Pubblicato il 17 dicembre 2015 da Valentina Bernocco

Non siamo la pecora nera, e rispettiamo le stesse regole degli altri. Potremmo così sintetizzare il nocciolo della difesa di Facebook contro le accuse di alcune organizzazioni pro-privacy e utenti olandesi che hanno chiesto, con lettera formale, di impedire il trasferimento di dati personali degli iscritti verso gli Stati Uniti, dove risiedono molti suoi data center e molte delle sue aziende inserzioniste. Minacciando azioni legali nel caso il social network non interrompa questa pratica prima del 16 gennaio. Le radici della vicenda sono note: dalla denuncia inoltrata nel 2013 dallo studente austriaco Max Schrems, fino alla recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di invalidare gli accordi regolati dal Safe Harbor.
Vero è che le nuove regole comunitarie travolgono non solo la creatura di Mark Zuckerberg bensì circa quattromila aziende statunitensi presenti sul Web, però è altrettanto vero che l’attenzione mediatica e le preoccupazioni si concentrano inevitabilmente su Facebook, luogo dove più di ogni altro le vite private diventano condivise. Ma anche il social network delle immagini, Instagram, e la più popolare fra le applicazioni di messaggistica, WhatsApp (entrambe proprietà dell’azienda di Menlo Park) sono coinvolti.
La lettera in questione, infatti, è stata inviata alle sedi di Facebook in California, in Olanda e in Irlanda così come alle sedi di Instagram e Whatsapp. Il mittente è uno studio legale di Amsterdam, Boekx, che parla in rappresentanza di tre associazioni pro-privacy (Stichting Privacy First, Public Interest Litigation Project e Dutch Platform for the Protection of Civil Rights) e di privati cittadini olandesi. La richiesta è, appunto, quella di interrompere il trasferimento dei dati verso gli States entro le ore 18 del gennaio, a meno di non voler incorrere in azioni legali.
Nelle parole dell’avvocato Otto Volgenant dello studio Boekx, “Vogliamo fare pressione su Facebook” e indurre Zuckerberg a pronunciarsi in merito al dibattito sulla privacy in corso nei governi di diversi Paesi. Se poi Facebook facesse ostruzionismo, la protesta degli olandesi potrebbe arrivare dapprima in un tribunale nazionale e poi da qui alla Corte Europea di Giustizia.
La replica della società californiana, arrivata tramite Forbes da un portavoce dell’azienda, Matt Steinfeld, esordisce ribadendo che il social network “utilizza i medesimi meccanismi impiegati da migliaia di altre aziende per trasferire legittimamente dati dall’Europa agli Stati Uniti e ad altri Paesi in tutto in mondo”. E poi fa una proposta: “Crediamo che il modo migliore per risolvere l’attuale dibattito sul trasferimento dei dati oltre l’oceano sia creare un nuovo patto di Safe Harbour, che garantisca adeguate tutele ai cittadini europei”. Il social network, dunque, non si sottrae alla possibilità di modifiche del regolamento ma anzi si auspica che le discussioni in corso fra organismi regolatori europei e statunitensi, e fra essi e i rispettivi governi sfocino presto in un “esito positivo”, ha dichiarato Steinfeld.
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