14/11/2017 di Redazione

L'avanzata del cloud computing, fra “scalatori” e sperimentatori

Uno studio di F5 Networks racconta cinquanta casi di adozione della “nuvola” particolarmente riusciti. In Italia il modello ibrido e multicloud è quello destinato ad avere futuro, purché si capisca come gestirlo. Ce ne parla Maurizio Desiderio, country ma

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Ci sono aziende per cui Internet e il digitale sono il pane quotidiano, come Spotify, Deezer e Zalando, ma anche colossi come Bosch, Lufthansa ed Airbus, aziende della distribuzione come Carrefour, marchi come Adidas, protagonisti del settore automobilitico come Bmw, Mercedes F1 e McLaren, gruppi bancari come Hsbc, e ancora Red Bull, Schneider Electric, il ministero della Giustizia britannico e – per l'Italia – il Politecnico di Milano. Questi alcuni dei nomi, cinquanta, eletti come “arrampicatori” o “scalatori” del cloud in una nuova ricerca che porta la firma di F5 Networks e di Hot Topics. Gli “Emea Cloud Climbers” sono aziende che in Europa, Medio Oriente e Africa hanno saputo utilizzare la “nuvola” per migliorare la propria efficienza, ma anche per sviluppare nuove aree di business e guadagnare vantaggio sulla concorrenza.

 

All'interno della lista il retail è l'ambito più rappresentato (12%), ma fanno bella figura anche i servizi finanziari (8%), il settore automobilistico (6%), il mondo dello sport (6%) e quello del trasporto/logistica (4%). Fra le cinquanta case history alcune spiccano in modo particolare: Spotify ha saputo far leva sul cloud per potenziare il servizio di streaming musicale; Mercedes F1 appoggia sulla nuvola le proprie attività di analytics; Airbus impiega il machine-learning (basato su cloud) per memorizzare e processare centinai di terabyte di immagini satellitari ogni anno. Ricercatori e studenti del Politecnico di Milano, invece, hanno sviluppato una soluzione Internet of Things per il monitoraggio dei siti archeologici di difficile accessibilità: un sistema di sensori che raccolgono dati e li inviano al cloud è già stato realizzato per il Mitreo, un antico luogo di culto situato sotto il Circo Massimo a Roma.

 

Oltre questi casi di innovazione riuscita, c'è da chiedersi quale sia il più generale scenario di adozione fra le piccole e medie imprese italiane: un tema certamente non nuovo, ma che oggi sta finalmente assumendo contorni più definiti. “Le aziende oggi vedono la nuvola come un'infrastruttura a cui appoggiare i propri servizi”, spiega Maurizio Desiderio, country manager per l'Italia e per Malta di F5 Networks. “In quanto infrastruttura, il cloud offre una serie di vantaggi, perché è più snella e veloce. Ma per essere funzionale deve introdurre un altro elemento , cioè l'automazione. Oggi si sta ragionando anche sul modo in cui poter erogare servizi attraverso il cloud, per esempio con la metodologia DevOps. E sta cambiando anche il modo in cui le aziende sviluppano le proprie applicazioni: è questo che sta rivoluzionando il mercato, consentendo continui rilasci di aggiornamenti e nuovi servizi”.

Che cosa vi ha colpito, in particolare, dello studio sui “cloud climber” dell'area Emea?

Un aspetto degno di nota, che non mi ha sorpreso ma anzi ha confermato le mie sensazioni, è il fatto che l'Italia non sia indietro rispetto ad altri Paesi europei. È un dato molto importante se si pensa a quanto si sia sempre parlato delle famose “ondate” di innovazione tecnologiche, che arrivano dagli Stati Uniti e che solitamente vengono adottate in Europa partendo dal Regno Unito o da altri Paesi, ma certamente mai dall'Italia. Mi pare che con il cloud questo non stia avvenendo. Un'altra cosa che mi ha colpito è quanto il mondo della finanza e delle banche, anche in Italia, si stia spostando in modo significativo sulla parte cloud. Pur trattandosi di un settore molto controllato, negli ultimi anni ha seguito questa tendenza, anche perché ciascuna banca o servizio finanziario ha cercato di non perdere terreno rispetto ai concorrenti.

Il cloud è dunque una scelta più o meno inevitabile?

 

La decisione di spostarsi sul cloud è per certi versi scontata, ma non necessariamente deve riguardare tutta l'infrastuttura. In questo campo molte aziende stanno ancora sperimentando, e in particolare settori come la Pubblica Amministrazione e la sanità in Italia sono ancora arretrati nel percorso di adozione. Le grandi aziende, come per esempio Enel, stanno iniziando però ad adottare il cloud in modo significativo. Pensiamo poi al campo dell'automotive: i modelli più evoluti hanno ormai, in media, una sessantina di sensori che durante la guida raccolgono informazioni di ogni tipo, utili per esempio per finalità assicurative. Poter analizzare e conservare un grande volume di dati di tal genere richiede piattaforme diverse da quelle on-premise.

 

Dal punto di vista della scelta del fornitore, quali tendenze osservate?

 

Il modello che si sta affermando è senza dubbio quello del multicloud, associato alla scelta di ambienti “ibridi”, composti da on premise e nuvola. Si opta per più fornitori perché appoggiarsi a un'unica infrastruttura di cloud pubblico sarebbe troppo richioso, mentre poter contare su almeno due provider consente di avere un'alternativa in caso di disservizi e garantirsi la business continuity. Se questa è la motivazione tecnica alla base dell'approccio multicloud, ce n'è poi una commerciale: con il vendor lock-in le ziende perderebbero la possibilità di negoziare con il fornitore e, quindi, potere d'acquisto.

 

 

Maurizio Desiderio, country manager Italy and Malta di F5 Networks

 

 

Come si inserisce F5 Networks in questo scenario?

 

Scommettiamo sul fatto che le aziende diventeranno sempre più consapevoli della necessità di un application delivery, cioè di soluzioni che permettano di gestire in modo semplice le diverse piattaforme degli ambienti multicloud. Uno tra gli obiettivi della nuvola è la semplificazione e per questo è importante poter gestire le varie piattaforme in maniera univoca. La nostra architettura Dual Stack permette di creare una sorta di “bolla” intorno a un'applicazione e di far sì che essa si comporti sempre allo stesso modo, a prescindere dalla sua collocazione sull'una o sull'altra infrastruttura. L'obiettivo finale è quello di garantire a un servizio cloud un certo livello di servizio, che non può avere delle defiance se non si vuol perdere la fiducia dei clienti.

 

Insomma, il cloud da solo non basta...

 

A mio parere, quando le aziende discutono di cloud e di nuovi contratti, l'argomento più frequente è quello degli Sla (Service Level Agreement, ndr). Ma qualcosa a molti clienti ancora sfugge. Spesso si pensa erroneamente che affidandosi a un cloud provider ci si liberi di tutte le preoccupazioni di gestione e di sicurezza, ma in realtà il fornitore si dichiare tresponsabile di tutto ciò che avviene dal layer 0 al layer 3, ovvero di tutto ciò che è infrastrutura. Quello che sta sopra l'infrastruttura, dal layer 4 al 7, e che riguarda le applicazioni rimane responsabilità del cliente ed è importante preoccuparsene.

 

 

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