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L’erede Lee Jae-yong rischia il carcere, bufera su Samsung

L’indagine sui legami fra la presidente Park Geun-Hye e la “sciamana” Choi Soon-sil travolge l’azienda dei Galaxy. Con la complicità del suo vicepresidente (accusato anche di spergiuro) sarebbero state versate tangenti in cambio di favori politici. Samsung nega.

Pubblicato il 16 gennaio 2017 da Redazione

Nuovi guai per Samsung, al confronto dei quali i problemi dell’esplosivo Galaxy Note 7 sembrano sciocchezze, guai legati a quelli della presidente sudcoreana Park Geun-Hye, ora sotto impeachment. Una grave accusa a base di tangenti e il rischio del carcere pendono sulla testa di Lee Jae-yong, attuale vicepresidente della società e figlio del patron Lee Kun-hee, che nel 2014 era stato colpito da infarto e costretto al ritiro dalle scene. Il quarantottenne è erede di una fortuna immensa: realtà da 300 miliardi di dollari di fatturato annuo, oggi l’azienda è ancora il primo produttore di smartphone e, secondo la classifica di Forbes, l’undicesimo brand mondiale a più alto valore.

La scorsa settimana Lee Jae-yong è stato interrogato per 22 ore dai procuratori speciali di Seul, impegnati a fare chiarezza sui rapporti fra alcune società tecnologiche (oltre a Samsung, anche Lg e Hyundai) e le due fondazioni controllate da Choi Soon-sil, un’amica della presidente Park Geun-Hye. Un’amica molto influente, si dice, capace di mettere il becco nella politica nazionale tanto da essere state definita dalla stampa come “sciamana”, “Rasputin” e “consigliera occulta”. A lei spetterebbero privilegi quali la lettura di documenti governativi riservati e addirittura, la scelta delle parole da pronunciare in pubblico e degli abiti da far indossare alla presidente.

Secondo la procura speciale di Seul, le fondazioni di Choi Soon-sil avrebbero ricevuto da una trentina di gruppi industriali “donazioni” sospette, per un valore equivalente a 65 milioni di dollari, molti dei quali sborsati da Samsung. Sull’entità del contributo le fonti non concordano: alcune agenzie parlano di 18 milioni, altre di più di 30 milioni di dollari. Soldi in ogni caso serviti, secondo l’accusa, per ottenere fondi pensione pubblici (attraverso il voto favorevole del National Pension Service sudcoreano) e l’appoggio al piano di riorganizzazione societaria. A detta di un portavoce dell’azienda, invece, “Samsung non ha fatto alcuna donazione in cambio di favori”.

Le indagini sono ancora in corso, mirate a definire quale sia stato il ruolo di Lee Jae-yong nel decidere sulle donazioni. Il sospetto degli inquirenti è che il vicepresidente le abbia volute per poter “agevolare” il passaggio di poteri interno all’azienda, mentre durante l’interrogatorio fiume il dirigente si è difeso dicendo di essere stato obbligato a concederle dalla presidente Park Geun-hye. Peccato però che, in un’audizione parlamentare dello scorso dicembre, Lee Jae-yong avesse fornito spiegazioni differenti, e dunque oltre all’accusa di sospette tangenti dovrà ora difendersi da quella di spergiuro. Mercoledì la richiesta di arresto formulata dalla procura di Seul dovrà essere valutata in tribunale per l’eventuale convalida.

 

 

Tag: samsung, indagine, politica, Lee Kun-hee, scandali

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