Pubblicato il 20 giugno 2019 da Roberto Bonino
A distanza di soli tredici anni dalla propria costituzione, nel 2018 Veeam ha superato il miliardo di dollari di fatturato. Basterebbe solo questo dato per testimoniare quanto rapida sia stata l’ascesa di una realtà nata per proporre una soluzione per il backup soprattutto in ambienti virtualizzati.
Oggi, parliamo di un’azienda che conta su oltre 350mila clienti nel mondo e che ha allargato il raggio d’azione verso il concetto di alta disponibilità su tutto il data center cosiddetto moderno: “Siamo all’atto secondo della nostra evoluzione”, ha confermato Albert Zammar, regional manager Sud Emea di Veeam. “Veniamo da un mercato, quello del backup & recovery, che vale 7,4 miliardi di dollari, ma puntiamo a quello del cloud ibrido, che ne vale 15”.
Uno dei perni del nuovo orizzonte di crescita è rappresentato dalla versione 10 della Availability Suite, in realtà attesa già da un paio d’anni, ma più volte rimandata, anche per accogliere il cambio di filosofia: “In realtà, abbiamo proposto diversi aggiornamenti sul prodotto, arrivato alla versione 9.5”, ha precisato Alessio Di Benedetto, presales manager Emea di Veeam. “Molti elementi annunciati in un primo tempo sulla v10 sono già a disposizione e fra queste il supporto dell’object storage e il ripristino di ogni istanza cloud”. La nuova major release dovrebbe uscire entro fine anno e conterrà funzioni come il backup dei Nas e la copia istantanea su object storage.
Albert Zammar, regional manager Sud Emea di Veeam
L’atto secondo evocato da Zammar si fonda sulla volontà di Veeam di replicare nel cloud data management ciò le è fin qui riuscito nel backup: “Dobbiamo dimostrare di saper fare in ambienti come Aws o Azure quello che già ci riconoscono i clienti per i loro data center. La versione 10 della Availability Suite permetterà, per esempio, di recuperare on the fly informazioni che si trovano su un cloud pubblico”, ha anticipato il manager.
Quello della garanzia di alta disponibilità dei dati è un tema di stretta attualità, soprattutto in relazione alle richieste che in tal senso le figure di management e di business rivolgono con crescente insistenza all’It. Lo testimonia anche una recente ricerca che Veeam ha realizzato con Vanson Bourne su un campione di oltre 1.500 grandi aziende, 125 delle quali italiane. Il nostro Paese, per la verità, offre uno scenario migliore su questo fronte rispetto alla media in diversi ambiti. Da noi, per esempio, il 45% degli intervistati ritiene di non essere in grado di affrontare correttamente le richieste di disponibilità continua dei dati da parte degli utenti, ma nel mondo la percentuale sale al 75%. Anche il tempo medio di downtime sofferto dalle aziende italiane è inferiore (52 minuti) rispetto al resto del mondo (65 minuti). La ricerca rivela anche che il costo medio per un’ora di downtime ammonta a oltre 100mila dollari e, quando accade, si percepiscono impatti sulla fiducia da parte dei clienti (43%) e sul brand (35%).
In compenso, solo l’11% delle aziende italiane ritiene critico dover intervenire sul data management nei prossimi due anni (nel mondo siamo al 44%), citando ostacoli ai processi di trasformazione che spaziano dalla presenza di sistemi legacy alla mancanza di sensibilità da parte del senior management.
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