Pubblicato il 02 settembre 2016 da Alessandro Andriolo
Il responsabile della divulgazione delle email private di Hillary Cliton (e di altri crimini) ha da poche ore un nome certo, almeno per la giustizia statunitense. Marcel Lehel Lazar, hacker romeno noto come Guccifer, è stato condannato dalla corte federale di Alexandria (Virginia) a 52 mesi di prigione dopo aver chiesto il patteggiamento lo scorso maggio. L’uomo, nato 44 anni fa ad Arad, è stato ritenuto colpevole di “accesso non autorizzato a un computer protetto” e “furto aggravato d’identità”. Da quanto si apprende dal comunicato diramato dal Dipartimento della Giustizia statunitense (Doj), Lazar ha spiegato come, tra ottobre 2012 e gennaio 2014, riuscì ad avere accesso alle mail e agli account social personali di circa cento personalità di spicco negli Stati Uniti. Tra le figure principali, la cui identità non è ovviamente stata rivelata, ci sono anche due parenti stretti di due ex presidenti, di un ex membro dell’Us Cabinet e di diversi rappresentanti e consiglieri governativi.
In molti casi, sottolinea il Doj, Guccifer ha poi proceduto alla pubblicazione della corrispondenza privata delle proprie vittime, comprese informazioni mediche e finanziarie e fotografie personali. Come riportato dalla Reuters, però, Lazar non avrebbe ancora dato prove certe di come sia riuscito a penetrare nel server privato di Clinton nella sua casa di Chappaqua, nello stato di New York. La pubblicazione della corrispondenza della candidata ufficiale del Partito Democratico alla Casa Bianca ha sollevato nei mesi scorsi un vero e proprio polverone.
La questione iniziò addirittura nel 2009, quando Clinton decise di aprire un indirizzo privato di posta elettronica sul dominio clintonmail.com, creato appositamente per scopi di messaggistica. Una pratica legittima, secondo le norme in vigore allora. Fino al 2013 Clinton utilizzò quindi lo stesso dominio e lo stesso server per la corrispondenza privata e per quella legata al proprio ruolo di segretario di Stato (venne poi sostituita il primo febbraio di quell’anno da John Kerry).
Quando però il governo le chiese conto dei messaggi di lavoro per archiviarle in un posto più sicuro, Clinton cancellò dal server tutte le mail personali, consegnando solo quelle di rilevanza pubblica (30.490 su oltre 60mila). Non c’era però modo di sapere se effettivamente la candidata per la corsa alla Casa Bianca avesse eliminato solo i propri messaggi o anche quelli legato al proprio ruolo politico. Dopo aver consegnato al governo la corrispondenza, il server della casa di Chappaqua venne completamente svuotato.
Image credits: Reuters. Marcel Lehel Lazar, alias Guccifer, è stato condannato a 52 mesi di prigione
È da questo fatto che è partita poi l’indagine dell’Fbi, volta a verificare due cose: se effettivamente Clinton avesse consegnato tutti i messaggi e, in particolare, se non avesse mai utilizzato il proprio indirizzo personale per cose di lavoro. Un comportamento poi ammesso dalla Clinton stessa e giudicato quantomeno inopportuno. Ma i federali hanno cercato poi di capire che genere di informazioni fossero state gestite in modo così scellerato da una persona che, ad oggi, potrebbe diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti.
La decisione finale del Bureau è stata di non indagare direttamente Clinton, perché la sua condotta non aveva intenzioni criminali: ma la difesa del potente politico è stata smantellata punto per punto dall’Fbi e la vicenda è stata una ghiotta occasione per i Repubblicani, che sono ovviamente passati all’attacco e hanno rilanciato l’indagine per mesi, sperando di affossare l’immagine di Clinton in vista delle elezioni del prossimo 8 novembre
Ma la questione Guccifer potrebbe non concludersi qui. In seguito all’attacco ai sistemi informatici del Comitato nazionale democratico dello scorso luglio, è emersa in Rete la figura di “Guccifer 2.0”, dietro la quale potrebbe nascondersi un altro hacker romeno. I servizi segreti a stelle e strisce non sono però concordi. Secondo le forze dell’ordine l’attacco hacker ai democratici (e anche ai sistemi elettorali di Arizona e Illinois) è stato sferrato dai servizi russi, con l’intento di destabilizzare ancora di più una campagna già confusa e dall’esito quanto mai incerto.
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