28/06/2014 di Redazione

Lavoro e tempo libero, gli italiani non li distinguono

Secondo una ricerca commissionata da Samsung, il 90% degli italiani sfrutta la tecnologia per svolgere operazioni di lavoro al di fuori dell’orario di ufficio. Attenzione, però, ai rischi connessi alla perdita di dati e che trasformano i lavoratori in hac

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Gli americani lo chiamano work-life blend, ma quel che conta non sono le definizioni. Il fenomeno della sovrapposizione (più che un armonioso “blend”, a volte un mix deleterio) fra vita privata e vita lavorativa è ben noto agli italiani e attraversa trasversalmente un po’ tutti i settori occupazionali. Nel Belpaese, più che altrove, le tecnologie mobili – smartphone e tablet, in sovrapposizione ai social network e al cloud – hanno sciolto i confini fra i tempi, i luoghi e le attività appartenenti a due sfere un tempo separate.

Da un'infografica dello studio (People-Inspired Security, maggio-giugno 2014)


A dirlo è Samsung in un’indagine commissionata alla società di ricerca OnePoll, condotta tra fine maggio e inizio giugno su 4.500 utenti europei, e per la precisione italiani, britannici, tedeschi, francesi, spagnoli, belgi e olandesi. A fronte di un 77% di media per i sette Paesi, la percentuale di italiani che dichiara di dedicarsi a compiti di lavoro anche fuori dall’ufficio è addirittura del 90%. In altre parole, soltanto un italiano su dieci non controlla le email, non modifica documenti Word o presentazioni, non telefona a un collega o non svolge attività di questo genere da casa o quando è in movimento, utilizzando uno smartphone, un tablet o un computer personale.

Il 50% di chi lavora durante il tempo libero lo fa impiegando a questo scopo circa 45 minuti ogni giorno prima dell’orario ufficiale di ingresso sul luogo di lavoro. A detta degli italiani, quest’abitudine costituisce un vantaggio: mentre il 43% dichiara di riuscire, così, a gestire meglio gli impegni personali, quasi la metà (48%) afferma di poter svolgere una maggiore quantità di lavoro nel medesimo arco di tempo. Molto più semplicemente, il 34% considera il work-life blend un modo per ridurre lo stress.

Tutto bene, finché ci si limita a osservare l’incremento di produttività e la maggiore libertà nei metodi e nei tempi da dedicare al lavoro. Ma dal punto di vista della sicurezza i rischi sono tali da far utilizzare a Samsung, in riferimento agli italiani, l’espressione “popolo di lavoratori hacker”. Più dei colleghi europei, i dipendenti nostrani tendono a non rispettare le policy aziendali di sicurezza e utilizzo del mobile, o per ignoranza o (nel 34% dei casi, contro una media europea del 26%) per aggirare consapevolmente alcune restrizioni. Per esempio, usando lo smartphone per operazioni di file sharing che sui dispositivi di lavoro vengono inibite. Soprattutto i più giovani, ovvero la generazione dei  “Millennials” 18-34enni, rientrano (nel 46% dei casi) nella definizione di lavoratore hacker.

C’è poi una “invasione di campo” che va in senso contrario, dalla sfera personale a quella professionale. Anche su questo aspetto il trend italiano è più marcato di quello europei: da noi l’86% degli intervistati, contro il 75% della media europea, svolge attività personali sul posto di lavoro.  In particolare, il 69% di questi tre quarti del campione ha ammesso di dedicare fino a mezzora al giorno al pagamento delle bollette o a consultare la propria banca online.

Se è vero che molte di queste attività vengono svolte da browser su un computer, la parte del leone spetta sempre di più ai dispositivi mobili. La metà degli italiani (49%) utilizza lo smartphone personale anche a scopo lavorativo, mentre il 32% usa, al contrario, quello aziendale anche nella vita privata. In media, sui device di lavoro in Italia vengono installate undici applicazioni “consumer” a utente (Facebook, a Whatsapp, ai giochi), mentre sugli smartphone e sui tablet di proprietà personale sbarcano in media nove app dalla connotazione business, fra cui Microsoft Outlook e Lync.

L'"evoluzione It" del lavoratore secondo Samsung


“Le persone stanno cercando di semplificare una vita indaffarata facendo leva sulle potenzialità dei dispositivi mobili e sulle proprie competenze tecnologiche”, ha commentato Rob Orr, vice presidente Enterprise Business di Samsung Europa, “per portare a termine lavoro e impegni personali in modo rapido ed efficiente, quando, dove e come vogliono. Diversamente da quanto si potrebbe pensare, invece di sentirsi sovraccaricati d’informazioni, sembra che si sia sviluppata la capacità di fondere sfera personale e lavorativa a vantaggio di se stessi e delle aziende in cui si opera. Il rovescio della medaglia, tuttavia, è legato ai rischi sulla sicurezza dei dati”.

 Più di un quarto degli intervistati in Italia, il 27%, dichiara di utilizzare il proprio device personale a scopo lavorativo pur non sapendo se sia effettivamente consentito, o non curandosene proprio. Per una volta sono altri a fare peggio, ovvero la Spagna con una percentuale che su questo singolo punto arriva al 39%. Ancor più preoccupante è il fatto che più della metà degli intervistati, il 52%, non sa se la propria società possieda o meno una policy di sicurezza mobile oppure ammette di conoscerne l’esistenza ma non il contenuto.

“Se non l’hanno già fatto”, suggerisce Dimitrios Tsivrikos, Consumer and Business Psychologist dello University College di Londra, “le aziende europee dovrebbero sviluppare policy lavorative e sulla sicurezza, oltre che strategie tecnologiche, che abbiano al centro il comportamento delle proprie persone”. Conviene seguire il consiglio: entro la fine dell’anno l’Unione Europea renderà obbligatorio il nuovo regolamento sulla protezione dei dati, e l’ultima bozza del documento prevede multe fino a 100 milioni di euro (o il 5% del fatturato annuo a seconda di quale delle due cifre sia maggiore) per le aziende che dovessero infrangere le norme, per esempio processando i dati in modo non sicuro.

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