30/03/2015 di Redazione

Privacy su Safari, sarà Davide a vincere contro "Goolia"?

Google ha subito una prima sconfitta di fronte all’Alta Corte britannica, per una questione relativa al presunto tracciamento della navigazione degli utenti sul browser di Apple. Il colosso statunitense potrà ora essere citato in giudizio dai consumatori

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Gli utenti di Safari segnano un gol importante contro Google, a difesa della loro privacy. L’Alta Corte britannica ha infatti dato torto a Big G e ha spalancato le porte a eventuali ricorsi legali da parte degli utilizzatori del browser Apple. Per fare un po’ di chiarezza serve però un passo indietro: nel 2012 il Wall Street Journal rivelò come il motore di ricerca Mountain View fosse in grado di eludere le impostazioni sulla privacy di Safari, tracciando senza eccessivi problemi il comportamento sul Web delle persone. Una questione ben presto finita in tribunale, con Google che ritrovatasi a pagare 22,5 milioni di dollari di multa, una sanzione inflitta dalla Federal Trade Commissione degli Stati Uniti.

Tutto finito? No. Appagati dalla decisione nordamericana, un gruppo di utenti britannici, noto come “Safari Users Against Google’s Secret Tracking”, decise di provare a ripetere l’esperienza legale anche nel Regno Unito. Scelta ovviamente ostacolata dagli avvocati di Mountain View, che tentarono di bloccare la richiesta con un’istanza di appello presso i tribunali di Sua Maestà.

Ma, come nelle belle favole, i difensori della privacy hanno per ora vinto una battaglia: un gruppo di tre giudici ha stracciato la difesa di Big G, dando ragione ai consumatori, affermando che la presunta registrazione delle navigazioni Web “solleva questioni serie, che meritano un processo”. Fascicolo che ora potrebbe davvero essere aperto dalle toghe, in quanto Google non ha altra scelta che subire passivamente le decisioni della Corte e aspettare le prossime mosse del gruppo di “attivisti”, che potrebbero citare in tutta libertà il colosso statunitense.

Come rivelato dal Wall Street Journal, il “trucco” implementato dal motore di ricerca per aggirare la sorveglianza di Safari era semplice: un pugno di righe di codice in grado di condizionare il browser di Apple e simulare l’invio di un form a Google. Un form che, ovviamente, non esisteva ma permetteva l’installazione di cookie temporanei, con cui Big G poteva poi tracciare la navigazione. L'azienda Mountain View si difese affermando che i cookie abilitavano semplicemente funzionalità aggiuntive per gli utenti registrati, senza annotare nulla. La palla ora, con tutta probabilità, passerà ai giudici, che dovranno decidere se assegnare la vittoria a Davide oppure a Golia (o meglio a "Goolia").

 

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