26/01/2011 di Redazione

Software senza licenza: come farla franca

Il Tribunale di Roma assolve un imprenditore su cui gravava l’imputazione di illecita detenzione di programmi informatici: se manca la prova della duplicazione volontaria del software non c’è reato. Microsoft e Bsa non ci stanno: la normativa a tutela del

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La notizia ha animato ieri le pagine di molti quotidiani on line e siti hi-tech italiani. Ed è questa: la V sezione del Tribunale di Roma, presieduta dal giudice Laura D’Alessandro, ha assolto con la formula “il fatto non sussiste” un imprenditore trovato in possesso di 270 programmi di tutte le principali aziende informatiche – Microsoft in primis, ma anche Adobe, Macromedia, Symantec e altri - sprovvisti di licenza e distribuiti su 103 fra computer e server per consentirne l’utilizzo condiviso a tutti i dipendenti della società. La motivazione alla base dell’assoluzione è stata la seguente: l’uso senza licenza o di licenze scadute di programmi commerciali per computer non configura il reato di abusiva detenzione di file sprovvisti di licenza d’uso, anche se all’interno dei pc vengono trovati i dispositivi di aggiramento tecnologico (i cosiddetti “crack”) in grado di far funzionare tali software. Per incorrere nel reato di violazione del copyright, in poche parole, occorre provare che vi sia stata una duplicazione volontaria del software e l’effettivo uso, sulle singole macchine, dei dispositivi di aggiramento tecnologico presenti sul server dell’azienda.

La sentenza del Tribunale di Roma costituirà un "pericoloso" precedente?



Per Microsoft e le altre aziende coinvolte nella vicenda, iniziata nel 2008, si tratta quindi – e lo ha detto senza mezzi termini Fulvio Sarzana di Sant'Ippolito, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie e difensore dell’imprenditore – è una sconfitta bruciante. Grave nella sua dimensione e non per le centinaia di migliaia di euro di danni chiesti alla  (284mila euro l’ammenda affibbiata dalla Guardia di Finanza in prima istanza all’imprenditore) perché, come facilmente intuibile, crea un precedente che potrebbe rendere parecchio più difficile la lotta alla pirateria. E sorprende per certi versi il fatto che le aziende costituitesi parte civile nel procedimento, a cui si era affiancata come consulente anche la Business Software Alliance Bsa (l’Associazione che riunisce le multinazionali del software), non avrebbero fatto richiesta d’appello.

A rendere la questione importante per i possibili suoi sviluppi futuri c’è l’aspetto delle modalità d’uso del software non coperto da licenza e lo si deduce dalle spiegazioni fornite dall’avvocato della difesa: “è stato ribadito un principio importante, ovvero che la colpevolezza di un imputato non può essere presunta ma deve essere provata senza alcun dubbio e che nell’ambito della detenzione dei software ciò che conta è l’utilizzo che se ne faccia dello stesso software, in questo caso un uso no-profit e non il semplice aspetto commerciale della detenzione o meno di una licenza, ancorché scaduta”.

Una tesi sostenibile in quanto l’azienda incriminata, società riconosciuta come laboratorio di ricerca accreditato dal ministero dell'Università e della ricerca scientifica e in passato partner della stessa Microsoft su alcuni progetti, impiegava i software per attività di formazione, dunque in un contesto non commerciale. Curiosità ulteriore non passata certo inosservata: fra i corsi erogati alcuni riguardavano l’educazione alla legalità nel settore della proprietà industriale.

Microsoft e il suo Windows saranno oggetto di maggiori azioni di pirateria?



Resta il fatto che si è di fronte a una sentenza che potrebbe trovare proseliti e mettere i bastoni fra le ruote alle multinazionali dell’informatica, che d’ora in poi dovranno presentarsi nei tribunali muniti delle prove necessarie. In altre parole il rischio è questo: un’azienda potrebbe regolarmente acquistare licenze per determinati programmi, non rinnovarle alla scadenza e ricorrere a strumenti tecnologici per avere gli aggiornamenti degli stessi e continuare ad utilizzarle senza più riconoscere alcun compenso ai fornitori del software. Nel caso venga pescata in fallo gli “basterà” dimostrare di non aver volontariamente copiato alcun software e utilizzato dispositivi tecnologici per farli funzionare anche in caso di licenza scaduta o mai acquistata. A questo punto viene spontaneo chiedersi se la decisione presa dal Tribunale di Roma possa rivelarsi per le aziende una sorta di reale vantaggio competitivo o un pericoloso boomerang, per lo meno per quelle imprese propense a non rispettare i canonici termini di legge per l’uso del software.

Ed è su questo aspetto che fanno leva Bsa e Microsoft, rimarcando ufficialmente come quello in oggetto sia un caso da cui non è possibile trarre una regola generale secondo cui quella fattispecie non sia reato. Le leggi, questo l’esplicito messaggio indirizzato dal gigante di Redmond ai potenziali furbi, non sono cambiate e resta il fatto che se si violano i diritti su un software si incorre in sanzioni, almeno sul piano civile. Il giudice non ha rilevato il reato penale in questo caso peculiare, ma questo non cambia la normativa a tutela del copyright ed è scorretto arrivare alla conclusione che la legge permetta di usare il software senza averne la licenza.

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