Sony e Uber strizzano l’occhio ai taxi giapponesi
Il colosso nipponico collaborerà con sei aziende di Tokyo per sviluppare un’applicazione con funzionalità di intelligenza artificiale per aiutare le imprese di trasporto privato a gestire le prenotazioni. La società di ride hailing di San Francisco vuole crescere nel Sol Levante e proverà a farlo con nuove partnership con l’industria locale.
Pubblicato il 21 febbraio 2018 da Redazione

È sfida a due in Giappone tra Sony e Uber. Il colosso tecnologico ha annunciato una partnership con diverse società di taxi per la creazione di un’applicazione di prenotazione corse gestita dall’intelligenza artificiale. Quasi in contemporanea, l’azienda di ride hailing di San Francisco ha svelato nuovi piani per ampliare la propria presenza nel Paese del Sol Levante. Gli algoritmi sviluppati da Sony potranno, ad esempio, “indirizzare” i taxi nei pressi di un evento di massa per facilitare la smobilitazione della folla al termine di un concerto o di una partita, aiutando così di fatto le società di trasporti privati nella gestione della flotta. Le aziende coinvolte nel progetto sono Checker Cab, Daiwa Motor Transportation, Kusumi Transportation, Green Cab, Hinomaru Kotsu e Kokusai Motorcars, per un totale di circa diecimila veicoli dislocati nell’area metropolitana di Tokyo.
Al momento, però, Sony non ha specificato una data di lancio della piattaforma, né eventuali progetti per espandere il servizio all’estero. L’obiettivo di Uber è invece quello di rafforzare la propria presenza in un mercato potenzialmente molto lucrativo, ma che ha già sbarrato più volte le porte alla diffusione delle applicazioni di ride hailing.
Nel Paese asiatico è infatti vietato utilizzare automobili private come taxi e Uber, secondo quanto riporta The Verge, tramite i propri servizi di noleggio controlla soltanto l’un per cento di un mercato da 16 miliardi di dollari. Gli spazi di crescita sono quindi evidenti. L’idea del Ceo Dara Khosrowshahi, che in queste ore si trova proprio a Tokyo per incontrare gli investitori (la giapponese Softbank possiede la fetta principale della società, pari al 15 per cento delle azioni), è sviluppare collaborazioni con i player locali per guadagnare terreno.
“È chiaro che dovremo pensare a delle partnership, in particolare con i tassisti (Tokyo è il più grande mercato al mondo, ndr), che in questo Paese possono offrire un prodotto molto forte”, ha spiegato il Ceo, sottolineando però come il settore non sia riuscito a stare al passo con l’evoluzione tecnologica. È evidente la differente strategia di Uber in Giappone: dove in altri Stati l’azienda californiana è andata più volte allo scontro frontale con il regolatorio e con i tassisti, nel Sol Levante la compagnia ha provato a “seguire le regole”.
Una volta vietati i servizi di ride hailing effettuati da conducenti part time (UberX e UberPop), il gruppo di San Francisco si è seduto al tavolo con i poteri locali per elaborare un’offerta diversa, che ha portato ad esempio alla nascita di una soluzione di trasporto espressamente dedicata agli anziani, attiva in un paio di piccoli villaggi lontani dal caos della capitale. Per non parlare di UberEats, il servizio di consegna a domicilio del cibo dei ristoranti.
Ecco perché Khosrowshahi sta espressamente cercando l’appoggio dell’industria dei taxi. Un’impresa probabilmente non riuscita in altri Paesi, dove Uber sta lentamente rendendosi conto della propria sconfitta. Il business che copre l’area del Sudest asiatico sta infatti per essere venduto a Grab, competitor basato a Singapore, mentre già nei mesi scorsi gli asset russi e cinesi sono stati ceduti o fusi con quelli di Yandex e Didi, con l’obiettivo di mantenere una presenza nei due mercati aderendo però alle rigide norme locali.
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