Siamo al tramonto di un decennio e il prossimo si preannuncia ricco di sfide (per non chiamarli pericoli) relative al cambiamento climatico, alla salvaguardia dell’ambiente e alla sostenibilità degli attuali modelli economici e sociali. Che cosa c’entra la tecnologia con questa complessa problematica? C’entra perché la tecnologia ha un ruolo importante sia nel generare un impatto ambientale sia, potenzialmente, nel contribuire a vincere le sfide etiche e sociali del prossimo decennio. Vmware ci propone un’interessante riflessione di Joe Baguley, vice president & Cto Emea, sul concetto di Techlash e sulla necessità di una nuova regolamentazione e di una buona governance dell'industria tecnologica.

 

Joe Baguley, vice president & Cto Emea di Vmware

 

Le aziende del settore tecnologico si sono tradizionalmente concentrate sulla crescita e sul profitto come misura del loro successo. E se, da una parte, non c'è dubbio che l'innovazione tecnologica abbia migliorato le nostre vite e guidato il progresso sociale, d’altra parte ci sono state anche conseguenze negative impreviste. Le fondamenta di diverse democrazie sono state minate dalla cosiddetta “ingegneria elettorale” attraverso i social media e i consumatori di tutto il mondo stanno riconsiderando il modo in cui condividono i propri dati a seguito di innumerevoli violazioni dei dati e della privacy.

 

Non c'è da stupirsi se nel 2018 la parola Techlash sia entrata nella shortlist come Parola dell’Anno degli Oxford Dictionaries. Con Techlash si intende la a perdita di fiducia nelle grandi aziende tecnologiche del mondo, a seguito di quanto successo nelle elezioni americane del 2016. C'è un senso di paura intorno al potere della tecnologia, una crescente sfiducia del pubblico nell'industria IT e una generale preoccupazione per l'incapacità delle persone di usare la tecnologia in modo responsabile.

 

Il ritmo dell'innovazione continua ad accelerare e con esso il potenziale per risolvere alcuni dei più grandi problemi del nostro tempo. Considerate la promessa di due tecnologie oggi: l'Internet delle cose (IoT) e l'intelligenza artificiale (AI). Nonostante la produzione di cibo sia sufficiente a sfamare tutti sul pianeta, la fame nel mondo esiste ancora. Le soluzioni proposte dall’IoT possono aiutarci a risolvere il problema degli sprechi migliorando il rendimento del raccolto e dello stoccaggio e riducendo la quantità di cibo perduto e danneggiato nell'ecosistema di distribuzione. L'intelligenza artificiale, invece, ha il potenziale per trasformare l'assistenza sanitaria nel mondo, prevedendo l'esito dei trattamenti farmacologici sugli individui, fornendo un approccio altamente personalizzato con risultati molto migliori per i pazienti.

 

Fin qui tutto bene. Ma, d'altra parte, alcuni dispositivi IoT presentano vulnerabilità che consentono agli aggressori di controllarli a distanza. Se consideriamo che le smart city vengono realizzate con migliaia di sensori, è evidente l'importanza di proteggere questi sistemi per evitare che gli hacker ne acquisiscano il controllo, causando il caos nelle nostre città. Allo stesso modo, l'AI viene utilizzata dai criminali per minare la sicurezza e provocare il caos informatico, il che può portare a gravi problemi del mondo reale. Il Wall Street Journal ha recentemente riportato che l'intelligenza artificiale è stata implementata per imitare la voce di un Ceo di un’azienda e ingannare un collega affinché trasferisse 243.000 dollari su un conto corrente.

 

Poi c'è la questione etica. Gli strumenti di intelligenza artificiale "imparano" l’etica dai loro programmatori, aumentando il rischio di pregiudizi inconsapevoli, che diventano intrinseci se non gestiti in modo appropriato. Questo è il motivo per cui abbiamo assistito a casi di software che fanno discriminazioni in base alla razza e al sesso in campi come la ricerca del personale, le richieste di mutui e persino le attività delle forze dell'ordine.

 

L'era dell'autoregolamentazione è finita?

Non sorprende quindi che molte persone chiedano una regolamentazione dell'industria tecnologica. Il successo di un’azienda non può più essere giudicato solo sulla base della crescita e della redditività, ma deve essere misurato anche l'impatto sulla società e sull'ambiente. L'industria tecnologica deve essere responsabile. Forse sorprende, invece, il fatto che alcune aziende IT (le stesse che generalmente si sono opposte a una maggiore regolamentazione delle loro attività) siano di questo avviso. 

 

Tim Cook, il Ceo di Apple, in questo senso è una voce di spicco tra chi chiede al governo degli Stati Uniti di intervenire per garantire la protezione dei diritti degli utenti e della privacy. E indica il Gdpr, messo a punto in Europa, come un passo nella giusta direzione. Anche il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, ha chiesto una regolamentazione in quattro aree: contenuti dannosi, integrità elettorale, privacy e portabilità dei dati. Naturalmente, il pericolo della regolamentazione è che, mentre protegge la società dai danni, possa limitare l'innovazione e mettere a repentaglio la libertà di parola. Tuttavia, per quanto complessa sia la questione, è chiaro che andremo nella direzione di una maggiore regolamentazione e legislazione.

 

Una buona governance nelle aziende più evolute

Ciò significa che le imprese tecnologiche più smart devono iniziare ad applicare buone pratiche di governance e “fare ordine”. Se le aziende tecnologiche si comportano in modo etico, se si ritengono responsabili e gestiscono proattivamente il loro impatto sull'ambiente e sulla società, allora quando arriveranno (e lo faranno) le norme, si troveranno in una posizione migliore per adattarsi. Le aziende dovranno dimostrare ai propri stakeholder e ai potenziali investitori che stanno integrando questi cambiamenti nelle proprie strategie sul lungo termine. E molti sono già avanti in questo percorso. L'alternativa è continuare a porre il profitto e la crescita a breve termine al di sopra di tutto, correndo il rischio di un cambiamento doloroso quando entreranno in vigore nuove leggi e regolamenti.

 

La tecnologia non è né buona né cattiva, ma dovrebbe essere usata come “ forza benefica”, indipendentemente dai futuri requisiti normativi. Sì, le questioni e le domande associate sono difficili e complesse. Per affrontarle l'industria deve pensare in modo diverso, agire in modo diverso e connettersi in modo diverso. Ogni azienda tecnologica dovrebbe intraprendere questo viaggio e mettere ordine “in casa propria”. Non solo ha senso dal punto di vista umanitario e planetario, ma anche dal punto di vista economico.