Tim Cook contro l’Fbi: “No alle backdoor nell’iPhone”
È direttamente il numero uno di Apple a scendere in campo per spiegare la decisione della Mela di opporsi alla sentenza del giudice federale Shery Pym. La toga ha ordinato a Cupertino di collaborare con gli investigatori per accedere ai dati crittografati contenuti nel cellulare di Syed Farook, autore della strage di San Bernardino costata la vita lo scorso dicembre a 14 persone.
Pubblicato il 17 febbraio 2016 da Alessandro Andriolo

“Un precedente pericoloso”. È direttamente la voce del numero uno a farsi sentire: Tim Cook ha detto un chiaro “no” al giudice federale Sheri Pym, che ieri aveva ordinato ad Apple di forzare la crittografia dell’iPhone 5 posseduto da Syed Farook, il killer che lo scorso dicembre uccise 14 persone durante l’attacco all’Inland Regional Center di San Bernardino, in California. Per avere accesso alle informazioni contenute nel melafonino, le forze di sicurezza che attualmente stanno coordinando le indagini sulla strage si sono rivolte direttamente al tribunale federale, per provare a obbligare Apple a forzare lo smartphone. Ma all’ordine del giudice di collaborare entro cinque giorni con l’Fbi, il gigante di Cupertino si è opposto con fermezza (come da sua facoltà), sottolineando che così facendo si sarebbe aperto un punto di non ritorno per la privacy di tutti gli altri utenti.
“Quando l’Fbi ha richiesto dati in nostro possesso li abbiamo forniti”, ha scritto Tim Cook in una lettera ai clienti pubblicata online, “Apple risponde ai mandati di perquisizioni e alle citazioni, come abbiamo fatto nel caso di San Bernardino […] Abbiamo un grande rispetto per i professionisti dell’Fbi e pensiamo che le loro siano buone intenzioni […] Ma il governo ci ha ora chiesto qualcosa che semplicemente non abbiamo, qualcosa che consideriamo troppo pericoloso da creare. Ci hanno chiesto di aprire una backdoor nell’iPhone”.
Ed è a questo punto che è scattato il “niet” di Cook. Gli investigatori, secondo quanto raccontato dallo stesso Ceo, avrebbero chiesto ad Apple di progettare una nuova versione del sistema operativo iOs, depurandolo però di numerose funzionalità di sicurezza, e di installarlo nell’iPhone di Farook. “Nelle mani sbagliate questo software, che oggi non esiste, avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone”, ha aggiunto Cook.
Una decisione, quella di Apple, che non è stata presa alla leggera. Anzi, considerato l’impatto mediatico e lo shock della strage di San Bernardino, il numero uno della Mela ne ha approfittato per portare al centro del dibattito il tema della privacy e del controllo delle informazioni da parte degli Stati. “Il governo ha detto che questo strumento potrà essere utilizzato una sola volta, su un solo cellulare. Ma questo non è vero”, ha proseguito Cook. “Una volta creata, questa tecnica potrà essere utilizzata più e più volte, su qualsiasi dispositivo […] Nessuna persona ragionevole troverebbe questa cosa accettabile”.
L’Fbi ha bisogno della collaborazione di Apple per aggirare la password di blocco e la crittografia dei dati presenti sull’iPhone di Farook, in modo da accedere alle informazioni registrate sul terminale senza rischiare di incappare nella cancellazione automatica del dispositivo. Mentre sulla Rete infervora il dibattito sulla privacy e sui limiti che essa dovrebbe avere in caso di investigazioni, è bene ricordare che Apple decise di implementare algoritmi crittografici negli iPhone a partire da iOs 8, in modo analogo a quanto fatto da Google per Android, optando per un sistema non scavalcabile nemmeno dallo stesso produttore.
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