Intelligenza artificiale, motore di ricerca, pubblicità e YouTube: per Google è un’unione sinergica, che permette a ciascun servizio di fare leva sugli altri elementi dell’ecosistema. Per la concorrenza, però, questa sinergia potrebbe rappresentare un ingiusto svantaggio. Facendo seguito al reclamo di alcuni editori indipendenti, depositato lo scorso luglio, la Commissione Europea ha aperto un’indagine antitrust sull'azienda del gruppo Alphabet, sospettata di sfruttare la propria posizione dominante nel campo delle ricerche online per vincere, in modo sleale, sulla concorrenza.
Solo pochi giorni l’antitrust europeo ha aperto una simile investigazione su Meta, dopo che l’azienda di Mark Zuckerberg ha annunciato di voler bloccare l’accesso a Whatsapp ai sistemi di intelligenza artificiale della concorrenza.
Per quanto riguarda Google, sotto la lente dell’antitrust UE c’è il presunto utilizzo che la società farebbe delle inserzioni pubblicitarie sul Web e dei video di YouTube: li userebbe, cioè, per addestrare i modelli di intelligenza artificiale integrati nel motore di ricerca, quelli che generano le risposte della AI Overview e i risultati della AI Mode. Secondo Teresa Ribera, commissaria europea per la concorrenza, è possibile che Google sia “abusando della propria posizione dominante come motore di ricerca per imporre condizioni commerciali non eque ai publisher, utilizzando i loro contenuti online per erogare i propri servizi basati su AI”.
La Commissione Europea contesta, in particolare, tre aspetti. Google trae vantaggio da questi dati e contenuti, usandoli per addestrare i propri algoritmi di AI e, quindi, per migliorare i propri servizi. Ma gli investitori pubblicitari e i creator di YouTube non ottengono alcun compenso in cambio dell’utilizzo dei propri dati e contenuti, e inoltre – secondo punto – non hanno la possibilità di fare “opt out” ed esprimere il proprio dissenso. Inoltre – terzo punto – Google sfrutta la propria posizione di mercato a discapito di altri sviluppatori di servizi basati su intelligenza artificiale: è quindi un caso di concorrenza sleale, secondo l’ipotesi della Commissione Europea. Danneggiando i competitor, Big G potrebbe limitare la diversità dell’offerta e la possibilità di scelta per i consumatori che fruiscono contenuti online.
“Un ecosistema dell’informazione sano dipende dal fatto che i publisher abbiano le risorse per produrre contenuti di qualità”, ha aggiunto Ribera. “Non permetteremo ai gatekeeper di imporre queste scelte”.
Da Mountain View non si è fatta attendere la replica. A detta dell’azienda, l’azione investigativa rischia di ostacolare l’innovazione in un mercato sempre più competitivo. Google ha sottolineato, inoltre, che “i siti possono guadagnare e perdere traffico per una varietà di motivi, tra cui la domanda stagionale, gli interessi degli utenti e i periodici aggiornamenti agli algoritmi di Search”.
Non è certo la prima volta che Google è oggetto di scrutinio o destinataria di multe europee. Un caso recente è la sanzione da 2,95 miliardi su cui Commissione Europea si è pronunciata lo scorso settembre, per abuso di posizione dominante nel campo delle inserzioni pubblicitarie. Se giudicata colpevole, ora l'azienda rischia una nuova multa per un ammontare massimo di un decimo del proprio giro d'affari.