28/11/2019 di Redazione

Amazon Italia contesta Mediobanca: tasse regolarmente versate

La filiale italiana della società di Jeff Bezos ha replicato allo studio di Mediobanca sui presunti ammanchi fiscali delle grandi aziende Websoft. Il report trarrebbe conclusioni errate, ragionando sulla solo base dei ricavi e non degli utili.

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Amazon Italia è la prima tra le filiali delle grandi società Websoft (servizi Web e software) a replicare allo studio di Mediobanca sui presunti ammanchi fiscali, conseguenza del dirottamento di una parte dei ricavi ottenuti in loco sulle sedi legali centrali o europee. Sedi che, prevedibilmente, risiedono in paradisi fiscali o comunque in Paesi come Irlanda, Svizzera e Lussemburgo, la cui tassazione alle imprese è decisamente più clemente di quella italiana.

 

Oltre a calcolare la somma totale dei mancati versamenti, 49 miliardi di euro per le 25 principali Websoft (e si sale a 75 miliardi contanto anche Apple), Mediobanca ha sottolineato i numeri, particolarmente bassi e sospetti, del giro d’affari dichiarato in Italia da questi colossi tecnologici. Nel complesso, rappresentano solo lo 0,3% del loro giro mondiale delle 25 aziende. Sui 110 miliardi di dollari di utili raccolti nel 2018, questi giganti l’anno scorso hanno versato al fisco italiano solo 64 milioni di euro.

 

La risposta di Amazon è arrivata prontamente: le tasse vengono regolarmente pagate, nello Stivale e altrove. Semplicemente Mediobanca si sbaglia, avendo impiegato criteri errati e avendo ignorato alcune dinamiche. Non mancano le argomentazioni, anche tecniche. A detta di Amazon Italia, “è fondamentalmente errato equiparare tutte le aziende digitali senza tenere in considerazione le differenze dei business in cui operiamo: l’imposta sulle società si basa sui profitti, non sui ricavi, e i nostri profitti sono rimasti bassi sia perché il retail è un business con margini ridotti sia per i continui, forti investimenti di Amazon in Italia che, dal 2010, ammontano a oltre 1,6 miliardi di euro”. 

 

“Nel caso di Amazon”, prosegue l’ufficio stampa, “la nostra aliquota fiscale effettiva dal 2010 al 2018 è stata mediamente del 24% e la nostra attività di international retail è in perdita”. L’argomentazione si chiude con un autoelogio per “il record di investimenti e la continua creazione di posti di lavoro in Italia, che aggiungerà ulteriori 1.000 dipendenti a tempo indeterminato ai 6.500 entro la fine del 2019”, due elementi che comunque non influiscono sul conteggio dei versamenti fiscali dovuti.

 

C’è dell’altro: errori di metodo. “Il rapporto non ha preso in considerazione l’impatto di tutte le entità italiane, ma solo di sette delle undici società con cui Amazon opera in Italia, che hanno ricadute in termini di gettito sia a livello locale sia a livello nazionale attraverso Iva, Irpef, Ires, Irap, Tasi, Tari. Inoltre, Amazon paga tutte le tasse dovute in Italia e in tutti i Paesi in cui operiamo”. Le tasse pagate in Italia in realtà sarebbero più alte di quanto non risulti nel rapporto di Mediobanca, perché “da maggio 2015 abbiamo una succursale italiana di Amazon Eu Sarl che registra tutti i ricavi, le spese, i profitti e paga le imposte dovute in Italia per le vendite al dettaglio, non in Lussemburgo". In definitiva, a detta dell’azienda il report “si basa quindi su una ricerca non corretta sulle società ‘Websoft’ e trae conclusioni errate almeno per quanto riguarda Amazon". 

 

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