24/07/2019 di Redazione

Giuseppe Conte è amico di Huawei, parola del fondatore

Il Ceo dell’azienda cinese, Ren Zhengfei, ha definito come “molto amichevole” il colloquio dello scorso aprile con il premier . Ma il Golden Power potrebbe essere un ostacolo.

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L’incontro a Pechino fra il premier Giuseppe Conte e Ren Zhengfei, il Ceo e fondatore di Huawei, sembra essere stato un successo. Ma quando si parla della società di Shenzhen, colosso della produzione di apparati di rete e di smartphone, un po’ di cautela è d’obbligo: troppe vicende, specie oltreoceano, hanno già reso travagliato il percorso del 5G e gettato ombre su tecnologie cinesi che - secondo Donald Trump e le agenzie di intelligence statunitensi - si presterebbero al cyberspionaggio del governo di Pechino. Conte ha dialogato con il numero uno di Huawei in aprile, in occasione del secondo forum dedicato all’iniziativa Belt and Road (la “nuova via della seta”, che favorirà i rapporti commerciali fra Cina ed Europa), ma solo ora Zhengfei ha concesso alla stampa italiana un commento su quell’incontro.

 

Come riportato da Ansa, presente a una tavola rotonda con i giornalisti tenutasi nel quartier generale dell’azienda, a Shenzhen, il settantaquattrenne amministratore delegato ha detto che “L'Italia ripone grande fiducia in Huawei" e ha definito l’incontro con Giuseppe Conte come un “colloquio molto amichevole”. E non ci stupiamo di queste dichiarazioni: il nostro governo è stato il primo, fra quelli inclusi nel G7, a sottoscrivere il memorandum d’intesa sulla Belt and Road, che non riguarda direttamente la fornitura di tecnologie per il 5G ma è certo terreno fertile per buoni rapporti commerciali. E fra l'altro proprio qualche giorno fa, da Milano il country manager Thomas Miao ha annunciato 2,75 miliardi di euro di investimenti che la sua azienda compierà in Italia da qui ai prossimi otto anni.

 

Va anche detto, però, che sul nostro Paese pende l’interrogativo del Golden Power, la normativa che dal concede al governo dei “poteri speciali” di intervento e regolamentazione “nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti, delle comunicazioni”. Nel 2017, con decreto legge, l’ambito di applicazione di questi poteri speciali è stato esteso ai settori “ad alta intensità tecnologica”. L’interrogativo riguarda l’aggiunta, voluta dalla Lega e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale a marzo,  di una voce che specifica l’inclusione del 5G nel Golden Power: se approvata, permetterebbe al governo di dire la sua non solo sulle acquisizioni di partecipazioni azionarie, ma anche sulle forniture di prodotti e servizi per il 5G da società che possano destare preoccupazioni di sicurezza. Huawei, così come Zte, ne sarebbero inevitabilmente coinvolte, considerati gli allarmi lanciati dalla Casa Bianca e dalle agenzie di intelligence statunitensi. Questa modifica al Golden Power sembra comunque destinata a non convertirsi in legge o almeno non secondo l’iter più ovvio, visto che la pausa estiva allunga i tempi oltre i 60 giorni di validità dalla data della pubblicazione in Gazzetta. Tuttavia, non è escluso che alcune delle misure possano essere prossimamente integrate nel disegno di legge sul “perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”, recentemente approvato dal Consiglio dei ministri. Il ddl prevede che lo Stato introduca particolari misure a difesa di infrastrutture e servizi informatici da cui dipendono gli interessi economici nazionali, la sicurezza dei cittadini e il buon funzionamento della società.

 

Intanto, da Shenzhen, davanti ai giornalisti il Ceo di Huawei ha apertamente criticato il Golden Power, sostenendo che “renderà complesso fare affari in Italia”.  Allargando la discussione al problema della guerra commerciale scatenata da Washington, il dirigente ha paragonato l’azienda all’aereo Ilyushin Il-2, usato nella seconda guerra mondiale e martoriato dagli attacchi dei tedeschi.È come noi: crivellati di colpi, ma con il cuore che batte ancora”, ha detto il Ceo, riferendosi ai danni provocati dall’arresto di Meng Wanzhou, la direttrice finanziaria di Huawei (nonché sua figlia), lo scorso dicembre a Vancouver. Da allora l’azienda ha subito forti perdite per le mancate vendite, ma ha recuperato quasi l’80% del danno, puntando a risalire ancora (93%) entro la fine del 2019.

 

Ren Zhengfei, fondatore e Ceo di Huawei

 

“Tutto quello che ho fatto nei mesi più recenti punta non solo a salvare mia figlia, ma anche la mia società”, ha detto il Ceo ai giornalisti, promettendo anche che “Non falliremo, cresceremo addirittura in modo più forte”. Non è mancata l’occasione di ribadire ancora una volta l’infondatezza delle accuse della Casa Bianca, il fatto che il governo di Pechino non abbia mai chiesto a Huawei di installare della backdoor nei propri apparati o software. “Tra l'altro non abbiamo reti negli Usa, né intendiamo vendere i prodotti 5G lì. Come potremmo minacciare la sicurezza nazionale?”, ha rimarcato Zhengfei. 

 

Il Ceo ha anche confermato precedenti dichiarazioni su Hongmeng, il sistema operativo a cui Huawei lavora da anni: questo prodotto non mira a sostituire Android ma lo farà solo in caso di necessità, se le licenze di Google non saranno disponibili (sempre per via della black list). Diversamente, Hongmeng potrà essere destinato ad applicazioni industriali e ai sistemi di guida autonoma.

 

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