20/09/2018 di Redazione

Google, Amazon, Facebook: i dati sono ricchezza ma anche un problema

Un prototipo di Dragonfly, il motore di ricerca cinese di Google, collega le query ai numeri di telefono. L'antitrust europeo indaga sull'uso non concorrenziale dei dati di e-commerce, mentre la Commissione Giustizia è stufa di aspettare Facebook.

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Motori di ricerca che collegano l'attività online a numeri di telefono, colossi dell'e-commerce senza controllo sui dati degli utenti, social media troppo invadenti. Si parla ancora di privacy ma per una volta non per solo gli scandali di Facebook ma per nuove inquietudini sul modus operandi di Google e Amazon. Ma nemmeno il social network sfugge all'appello. La società di Mountain View sembra avviata a diventare la spalla del governo di Pechino nell'opera di controllo e censura dei cittadini cinesi, mentre quella di Seattle finisce nel mirino dell'antitrust europeo (rischiando una multa) e a Menlo Park si torna nuovamente a esaminare i termini della privacy degli utenti.

 

Nuovi dettagli sono emersi nei giorni scorsi a proposito di Dragonfly, il motore di ricerca, attualmente in fase di sviluppo, che potrebbe permettere a Google di tornare protagonista della Rete anche in Cina: prevedendo una blacklisti di termini non ricercabili, Dragonfly (non è il nome ufficiale) potrà superare il Great Firewall e affiancarsi a Sogou e a 360 Search come alternativa al dominante Baidu, da cui transita l080% delle ricerche Web eseguite in Cina. Il compromesso etico sulla censura aiuterebbe Google a rimettere un piede in un mercato che nel 2017 ha fruttato 20,3 miliardi di yuan, cioè più di due miliardi e mezzo di euro. D'altra parte anche Apple, non in quest'ambito ma in quello dei servizi cloud, di compromessi in terra cinese ne ha accettati parecchi, trasferendo a società paragovernative locali la gestione dei data center di supporto ad iCloud.

 

Secondo alcune indiscrezioni riferite da The Intercept, tra le versioni prototipali di Dragonfly ne esisterebbe una in cui le query di ricerca vengono collegate al numero di telefono della persona che le esegue. Se mai questa capacità dovesse entrare nella versione definitiva del motore, per i cittadini cinesi Google diventerebbe tutt'altro che una boccata d'aria verso Occidente o uno spiraglio di libertà. All'indomani dei primi rumors, in una nota scritta la società californiana aveva però già messo le mani avanti: “Da molti anni stiamo studiando come aiutare gli utenti cinesi, dallo sviluppo di Android ad applicazioni mobili come Google Translate e Files Go, agli strumenti per sviluppatori. Ma il nostro lavoro sulle ricerche è stato esplorativo e nessun lancio di un prodotto di ricerca è previsto a breve in Cina”.

 

 

 

Amazon, invece, ha gli occhi dell'antitrust europeo puntati addosso. La questione non riguarda la privacy, ma i dati c'entrano accome: nei sospetti della commissione guidata da Margrethe Vestager, l'azienda li sfrutterebbe a proprio favore in modo scorretto, violando le regole del mercato. Le informazioni su acquisti, ricerche e wishlist sono notoriamente una miniera d'oro per chi le piattaforme di e-commerce, che possono analizzarle e capitalizzarle. E Amazon lo sa fare molto bene. Il problema, secondo l'antitrust, sta nel fatto che anche i dati dei merchant che veicolano i propri prodotti su Amazon verrebbero da quest'ultima raccolti e usati per i propri scopi commerciali. I rivenditori usano, sì, la piattaforma come veicolo e vetrina per i loro prodotti, ma garantiscono anche all'azienda di Jeff Bezos notevoli introiti e possibilità di ampliare e diversificare l'offerta (metà degli articoli venduti provengono da aziende medie o piccole).

 

Se si dimostrasse che ha violato le regole della concorrenza, per il colosso di Seattle si prospetta il rischio di una multa europea per un valore massimo del 10% del fatturato globale. È presto per fare ipotesi. “Siamo ancora in una fase iniziale e non abbiamo aperto formalmente il caso. Vogliamo assicurarci di avere il quadro completo”, ha fatto sapere Vestager. Tanto per non farsi mancare nulla, oltreoceano Amazon parrebbe impegnata anch'essa a investigare. Secondo indicrezioni di “rivenditori, broker e persone informate sulle indagini interne”, riporta il Wall Street Journal, l'azienda sospetterebbe di alcuni dipendenti: avrebbero rivenduto dati interni ad Amazon, attraverso intermediari, a merchant presenti sulla piattaforma di e-commerce. Chi la fa l'aspetti, verrebbe da dire.

 

 

 

 

Più a sud di Seattle, ancora una volta in quel di Menlo Park la questione della privacy è una spina nel fianco. La Commissione Europea non dà pace nemmeno a Facebook: come svelato da Reuters, l'azienda di Mark Zuckerberg potrebbe essere multata per non aver ancora fatto chiarezza sul modo in cui il social network utilizza i dati dei suoi iscritti. A luglio il commissario europeo alla Giusizia, Vera Jourova, aveva chiesto ad Airbnb e a Facebook di rendere più trasparenti i termini contrattuali e le condizioni d'uso: mentre la piattaforma di prenotazione di bed&breakfast ha eseguito, il social network non ha ancora soddisfatto la richiesta.

 

Ma quello dell'estate 2018, seguito al caso di Cambridge Analytica, era solo l'ultimo dei richiami in senso cronologico. “Sto diventando impaziente, sono due anni che stiamo dialogando e non voglio vedere progressi, ma risultati”, ha dichiarato Jourova. La commissione Giustizia chiede a Facebook di semplificare le norme sulla privacy e di rendere più esplicito se e come i dati degli utenti possano essere rivenduti ad altre società.

 

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