15/07/2019 di Redazione

Huawei attende il semaforo verde per gli acquisti di Android e chip

Secondo indiscrezioni, entro un paio di settimane le società statunitensi (come Google, Intel e Qualcomm) potranno tornare a vendere prodotti e software alla cinese. Donald Trump ha cambiato idea?

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La telenovela di Huawei va avanti, forse verso un lieto fine: la ripresa dei rapporti commerciali in parte interrotti con l’ordine esecutivo di Donald Trump dello scorso maggio. Con quest’atto la Casa Bianca ha vietato alle società statunitensi di acquistare tecnologie da società di Paesi considerati pericolosi per la sicurezza degli Stati Uniti, come la Cina, cioè da “realtà possedute, controllate o soggette alla giurisdizione di un avversario straniero”. Huawei, inoltre, è finita nella lista nera delle aziende che non possono acquistare da fornitori statunitensi, e Google di malavoglia ha dovuto annunciare la revoca delle proprie licenze Android. La Casa Bianca, come noto, accusa Huawei di legami compromettenti con il governo cinese, legami da cui deriverebbe un rischio di backdoor inserite in smartphone e apparati di rete. Anche la Federal Communications Commission, guidata dal fedelissmo trumpiano Ajit Pai, teme che Pechino possa sfruttare Huawei per “raccogliere informazioni di intelligence contro le agenzie governative e altri obiettivi”. L’accusato ha sempre negato con forza, ribadendo la propria indipendenza da qualsivoglia controllo politico.

 

E la questione non riguarda solo Huawei, ma coinvolge l’intero sistema dei rapporti fra aziende statunitensi e cinesi.  Anche le importazioni sono a rischio, vista la volontà della Casa Bianca di aumentare dal 10% al 25% i dazi sui prodotti acquistati dalla Cina. Si è profilato un terremoto nella supply chain, sia relativamente all’export verso la Cina (per fornitori di software e chip come Google, Intel e Qualcomm) sia per le importazioni di hardware fatto fabbricare là dove la manodopera costa meno (Apple, Hp, Dell, Microsoft, con tanto di ipotesi di delocalizzare altrove almeno una parte della produzione).

 

A fine maggio il parziale dietrofront: il Dipartimento del Commercio ha concesso una “licenza temporanea” con cui, fino al 19 agosto, Huawei può continuare ad acquistare componenti e tecnologie da fornitori statunitensi. Intanto la discussione si è allargata ben oltre i concreti problemi di supply chain. In giugno Huawei ha smentito le voci di tagli alla produzione, salvo poi ammetterle un paio di settimane dopo per bocca dell’amministratore delegato, Ren Zhengfei. Il mese di luglio si è aperto all’insegna della distensione, con un vertice G20 da cui (dopo l’incontro con il presidente cinese Xi Jingping) Donald Trump ha dichiarato che “le compagnie Usa possono vendere attrezzature a Huawei”, purché si tratti di “apparati per i quali non ci siano grandi problemi con la sicurezza nazionale”.  

 

E siamo all’ultima puntata, doppia. Nuove indiscrezioni del Wall Street Journal riferiscono che la società di Shenzhen starebbe progettando di tagliare centinaia di posti di lavoro in una sua controllata, la Futurewei Technologies, in cui da Santa Clara si fanno attività di ricerca e sviluppo. C’è però anche una buona notizia, non confermata: da Reuters si apprende “Gli Stati Uniti potrebbero approvare, al massimo entro due settimane, licenze con cui le aziende potranno avviare nuove vendite a Huawei, a detta di un funzionario senior”. Due “produttori di chip che riforniscono Huawei”, inoltre, hanno svelato all’agenzia stampa di voler richiedere nuove licenze. Tra rumors e attese, quindi, domina ancora l’incertezza. Ma è ragionevole sospettare l’opera di lobbying dell’industria dei processori e le pressioni politiche di Pechino abbiano modificato le non così granitiche posizioni di Donald Trump su Huawei.

 

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