22/11/2016 di Redazione

Oracle: aziende italiane informate sul cloud, ma ancora indietro

Soltanto il 3% della spesa Ict delle imprese tricolori è destinata alla nuvola, benché il 60% delle realtà si dica consapevole dei vantaggi. Dobbiamo recuperare il ritardo con il resto d’Europa, come suggerisce il country manager italiano di Oracle, Fabio

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Ancora una volta, anche in ambito Ict si sente parlare di “gap italiano”. Una distanza che separa lo Stivale dal resto dell’Europa (o almeno dalla media europea) in relazione a un fatto tecnologico: gli investimenti in cloud computing. Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, infatti, appena il 3% della spesa Ict compiuta dalle aziende nostrane nel 2016 sarà stata destinata alla nuvola, a fronte di una media europea dell’11%. Eppure qualcosa sta cambiando. “Il cloud è finalmente arrivato anche in Italia”, ha esordito il country manager di Oracle Italia, Fabio Spoletini (anche è anche vice president technology per il nostro Paese e per la Francia)  in occasione dell’edizione milanese dell’Oracle Cloud Day 2016, l’appuntamento più importante dell’anno per clienti e partner del colosso californiano.

 

Secondo i dati dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service del Politecnico di Milano, nel primo semestre la spesa in tecnologie e servizi di nuvola è cresciuta del 20% rispetto ai livelli del 2015, mentre per l’intero 2016 si stima un valore di 1,77 miliardi di euro. Più del doppio del business generato nel 2013 (0,9 miliardi di euro). Risultati importanti, che però continuano a non soddisfare. “La cifra che verrà raggiunta a fine 2016 rappresenterà solo il 3% della spesa Ict italiana”, ha evidenziato Spoletini, puntando il dito sul ritardo rispetto a una media Emea già attestata attorno all'11%. Non solo: in Italia il 90% della spesa si concentra nelle grandi organizzazioni, il che significa che le Pmi si tengono ancora lontane dalle logiche del cloud. “Eppure è qui che deve esserci il cambio di passo per riuscire a fare avere al nostro Paese aziende finalmente competitive”, ha sottolineato il country manager.

 

Come si spende? Il public cloud contribuisce al giro d'affari del 2016 solo per un terzo, mentre resto della spesa è assorbito dalle infrastrutture “cloud enabling”. Si tratta di investimenti destinati ancora all’on-premise, ovvero  semplicemente ad aggiornare il patrimonio infrastrutturale e applicativo già esistente all'interno delle aziende in un'ottica di prossima adozione del cloud. “Quindi siamo indietro”, ha chiosato Spoletini. “Questo significa che dobbiamo accelerare per colmare tutti i gap, sapendo che, pur essendo in ritardo, il mercato è ormai consapevole che il cloud rappresenti la vera leva del cambiamento”.

 

Fabio Spoletini, country manager di Oracle Italia

 

 

 

Estrapolando i dati italiani da una ricerca Emea promossa da Oracle, si nota infatti che il 60% dei manager nostrani è conscio dell'opportunità costituita dal cloud, tanto che il 35% di loro è intenzionato a investire in questa direzione nel corso del 2017. E il vendor californiano non vuole certo perdere questa occasione. “Il nostro obiettivo è accompagnare le aziende nel processo di trasformazione digitale che il cloud abilita, mettendo a loro disposizione un percorso d’innovazione che ha ormai carattere d'urgenza”, ha aggiunto il country manager a chiusura del suo intervento, ricordando che in Emea, entro il 2020, il 50% delle spesa It sarà destinata a progetti di nuvola.

 

 

I dati sono il nuovo petrolio

Ma dove inizia il percorso di trasformazione? A stabilirne il punto di partenza è Andrew Sutherland, senior vice president technology & systems business Europe, Middle East, Africa, Asia Pasific, che dal palco dell'Oracle Cloud Day ha ricordato come per trasformare il Digital Business in realtà servano soprattutto i dati. “I dati”, ha detto Sutherland, “sono il nuovo petrolio e vanno condivisi, combinati, addirittura acquistati, per fare acquisire loro un valore estrapolabile solo attraverso analisi approfondite". A sottoporli a questo processo oggi sono pochissime aziende. “Nelle organizzazioni l'accessibilità alle informazioni è aumentata”, ha aggiunto il senior vice president, “ma sono ancora poche le aziende capaci di sfruttare pienamente i dati, applicando algoritmi in grado di evidenziare i nuovi pattern di mercato. Negli Stati Uniti meno del 5% delle grandi aziende conosce il valore dei propri dati, una percentuale che dimostra come sia ancora lunga la strada che conduce al business digitale".

 

 

Andrew Sutherland, svp technology & systems business Europe, Middle East, Africa, Asia Pasifico di Oracle

 

Nell'ultimo anno Oracle ha compiuto investimenti enormi in ricerca e sviluppo (100 milioni di dollari a settimana), tutti finalizzati a semplificare e velocizzare l'uso di architetture innovative da parte dei clienti. “Per compiere passi significativi verso la trasformazione digitale del business occorre disporre di una piattaforma cloud integrata”, ha spiegato Sutherland. “La scelta di Oracle è completa, aperta e sicura". Completa, perché abbraccia tutte le anime del cloud (IaaS, PaaS, SaaS), integrandole fra loro (e si arricchirà a breve grazie all'acquisizione del service provider Dyn). Aperta, perché basata su open standard, il che garantisce il supporto di tutti i carichi di lavoro, applicazioni, linguaggi e i sistemi operativi. Sicura, perché ogni layer è protetto, perché i dati sono criptati sia a riposo sia in transito ed è prevista una gestione degli accessi e delle identità.

 

A tutto questo il vendor aggiunge la massima flessibilità di deployment: privata, pubblica, ibrida e nella nuova formula “cloud at customer”. Si tratta, in questo caso, di un servizio in abbonamento gestito da Oracle in modalità on-premise attraverso l’installazione di una cloud machine, oggi già disponibile, cui si affiancheranno presto anche Oracle Exadata Cloud Machine (per esigenze di performance più estreme) e Oracle Big Data Cloud Machine.

 

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