09/12/2019 di Redazione

Pechino vieta negli enti statali la tecnologia non “made in China”

Una nuova direttiva governativa impone agli enti pubblici di sostituire entro il 2022 i sistemi hardware e software di produzione non cinese. Un colpo basso per l’America di Donald Trump e per produttori come Dell, Hp e Microsoft.

immagine.jpg

Chi di nazionalismo ferisce, di nazionalismo perisce. La Cina passa al contrattacco, dopo aver subìto per mesi le misure protezionistiche di Donald Trump, fra rialzi dei dazi sull’import e blacklist commerciali che hanno innanzitutto danneggiato, come noto, Huawei. Ora il governo di Pechino ha emesso una nuova direttiva che richiede alle istituzioni e agli enti statali di liberarsi entro tre anni al massimo di computer, stampanti, telefoni, altri sistemi hardware e software che non siano “made in China”

 

Entro la fine del 2022, quindi, dovranno scomparire dagli uffici degli enti pubblici i nomi Hp, Dell, Microsoft, Google e quelli delle altre società tecnologiche statunitensi, oltre che europee. La misura protezionistica riecheggia evidentemente quella con cui la Casa Bianca ha vietato, per addette ragioni di sicurezza nazionale, l’uso di tecnologia cinese all’interno dei ministeri, degli enti e delle molte agenzie federali. La scelta di Pechino sembra però dettata non da ragioni cybersicurezza, quanto dalla volontà di promuovere una sorta di autarchia tecnologica, riducendo progressivamente la dipendenza da fornitori statunitensi.

 

Stando alle indiscrezioni degli analisti di China Securities, riferite dal Financial Times, la scelta di vietare l’uso di tecnologie straniere sarebbe dovuta a un ordine emesso dall’ufficio del Partito Comunista Cinese mesi fa, benché sia più ampiamente ascrivibile alla Legge sulla cybersicurezza emessa nel 2017. Gli analisti stimano che a causa della direttiva gli uffici statali inizieranno già nel 2020 a dotarsi di nuovo hardware, liberandosi di Pc e altri dispositivi attualmente in uso. Già entro la fine dell’anno prossimo sarà stato sostituito il 30% della dotazione non in regola, nel 2021 il 50% e nel 2022 il restante 20%, motivo per cui la nuova policy è stata ribattezzata con la sigla “3-5-2”.

 

Quanto tutto ciò impatterà sulle vendite di aziende come Hp, Dell e Microsoft, per citare soltanto i principali produttori di Pc, di server e di software per l’ufficio? Per gli analisti di Jefferies, attualmente le aziende tecnologiche statunitensi traggono dalle vendite realizzate in Cina un giro d’affari complessivo di circa 150 miliardi di dollari all’anno. Si tratta però in gran parte di acquisti fatti da aziende private, un territorio che (almeno per il momento) non è ancora stato raggiunto dai veti di Pechino. Si punterà su Lenovo? Il produttore di Pc, forte anche in Europa, è già il favorito in Cina ma l'impiego di processori Intel e hard disk Samsung all'interno di alcuni modelli, nonché la presenza del sistema operativo Windows potrebbero rivelarsi un problema.

 

 

Huawei va avanti su HarmonyOS

Intanto dalla Cina giunge un’altra notizia, vagamente correlata. Huawei sta procedendo a grandi passi nella distribuzione del proprio sistema operativo, HarmonyOS (HongmengOS in cinese), presentato lo scorso agosto ma frutto di anni di ricerca e sviluppo. Dopo il lancio di uno smart Tv, Huawei Smart Screen, lo scorso settembre, ora la società ha fatto sapere che l’anno prossimo saranno commercializzati sia in Cina sia in altri mercati nuovi dispositivi equipaggiati con questa piattaforma. 

 

Al momento non ci sarebbero progetti sul lancio di smartphone, tablet o Pc basati su HarmonyOS, dunque si tratterà presumibilmente di altri apparecchi televisivi oppure di dispositivi indossabili. Dirigenti di Huawei recentemente si sono già espressi sull’ipotesi di una sostituzione di Android con il sistema operativo proprietario: non sarà questa la strategia primaria, ma potrà rappresentare una risorsa se non sarà più possibile ottenere le licenze di Google.

 

ARTICOLI CORRELATI