La palla ora è nelle mani di Corrado Calabrò, presidente dell'Autorità Garante delle Comunicazioni. Gli OLO, ossia gli Other Licensed Operator, gli operatori alternativi di telecomunicazioni hanno fatto seguire al comunicato i fatti e hanno sbattuto la porta del Comitato NGN.
Settimana scorsa la frittata, secondo gli OLO, era stata fatta da Francesco Vatalaro, professore di Telecomunicazioni alla Sapienza di Roma, con la presentazione del rapporto "riservatissimo" e pubblicato dal Sole24Ore. Avrebbe dovuto esser la sintesi delle consultazioni, durate la primavera intera, di tutti gli "aventi causa" a proposito della Next Generation Network, una quarantina di soggetti.
Gli alternativi Aiip, Fastweb, Wind, Vodafone, TeleTu, Tiscali, Welcome Italia, però, quando hanno letto la "Proposta non vincolante di Linee guida per la disciplina della transizione verso le reti NGN" non vi hanno trovato niente delle proprie posizioni. Prevale, sostengono, la posizione e quanto è conosciuto del Piano Industriale di Telecom Italia per il prossimo quinquennio soprattutto in merito alla NGN.
Gli Other Licensed Operator che hanno abbandonato il Comitato NGN
Hanno ragione? Hanno torto?Per molti aspetti
la polemica sembra decisamente pretestuosa.
Dalla lettura del documento di Vatalara non è vero che non vi sia una complessa architettura per dismettere la rete in
rame, che costituisce di per sé il nodo cruciale di tutto l'insieme: se l'Autorità Garante non stabilisce una linea politica e regole chiare su questo punto non si va avanti perché economicamente
il sistema non reggerebbe un passaggio di tutto il traffico da una tecnologia all'altra. Il Ritorno dell'Investimento sulla fibra ottica si allungherebbe nel tempo e scoraggerebbe i finanziatori dal fornire le risorse. Non è una cosa bella da dirsi perché il futuro a 20-50 anni è senza dubbio la fibra ma la possibilità di spremere ancora valore dalla infrastruttura in rame è ancora elevatissima. E non solo dal punto di vista tecnologico: soluzioni xDSL avanzatissime e nuovi protocolli di compressione possono assicurare ancora una vita utile di 20 anni al doppino in rame.
Ma
se si punta ancora sul rame vuol dire rimandare il ROI della fibra a tempi biblici. Se si punta alla fibra e se ne vuole accelerare l'installazione e l'adozione è necessario darsi regole certe e chiare per accelerare la dismissione del rame.
Sicuramente
non va a favore della fibra le recenti concessioni di aumento delle tariffe di terminazione concesse da AGCOM a favore dell'incumbent del rame, cioè Telecom Italia (vedi
Unbundling più caro, Telecom ringrazia AGCOM).
Tornando al documento di Vatalara la scelta è quella di Telecom: andiamo
avanti col nostro passo d'investimenti, ossia continuiamo a sfruttare
il rame, a manutenerlo, a svilupparlo ulteriormente. Contemporaneamente
facciamo gli investimenti in fibra lì dove c'è mercato sufficiente a
tornare negli investimenti in tempi ragionevoli, ossia le famose 13 più
popolose città italiane.
Quindi non è che nel documento di Vatalara non siano recepite le
indicazioni degli Operatori Alternativi. Semplicemente è stato ritenuto
più concreto e praticabile per il Paese suggerire il percorso indicato
da Telecom Italia.
Giusto? Sbagliato? Gli OLO che si sono alzati dal tavolo di Vatalara e
che chiedono di parlare direttamente con l'AGCOM per far valere le
proprie ragioni dovrebbero smontare l'architettura della traccia seguita
dal professore romano dicendo con precisione che cosa non va del piano
di dismissione del rame. E, soprattutto, tirar fuori i propri impegni
economici per ciò che riguarda le situazioni transitorie.
Per esempio:
- non possono non essere d'accordo nella divisione dell'Italia in tre
fasce secondo la redditività. Le cosiddette aree nere (dove possono
competere più operatori in fibra), grigie (dove mettere più di una fibra
non conviene) e bianche (a fallimento di ROI). Perché è esattamente su
quella divisione che, per esempio, Fibra per l'Italia (i quattro
maggiori OLO: Wind, Fastweb, Vodafone, Tiscali) ha deciso di cablare le
15 città più redditizie.
- non possono non condividere ((i punti 3.1-3.14) la logica del
"coinvestimento": uno si fa capo progetto degli scavi e gli altri
partecipano alle spese con un'equa ripartizione degli oneri e si
condivide quanto più possibile: nelle città nere ognuno mette la propria
fibra e ha il proprio pozzetto, nelle aree grigie e bianche si
condivide la fibra comune. E' esattamente quanto fanno i 4 di Fibra per
l'Italia.
Il nodo critico è quello del "Total replacement" dei 29 punti del
capitolo 4. E qui c'è sicuramente da discutere perché, è indubbio, che
Vatalara ha tenuto molto in conto i diritti dell'incumbent in rame.
Ma è
ragionevole che tempi e modalità siano stabiliti in regolamentazioni
dell'AGCOM, idem di pagare a TI nel periodo di transizione un
equivalente della tariffa all'ingrosso del rame nel momento in cui si
cambia tecnologia, che ogni operatore presente in centrale abbia i
propri tempi nell'arco dei tre anni per cambiare tecnologia.
Certo, se a
stabilire i tempi è sostanzialmente Telecom Italia anziché l'AGCOM è
cosa questionabile e contestabile. Ma un accordo si può trovare. Tutto sommato il
testo di Vatalara è una bozza emendabile.
Insomma, ci si aspetterebbero obiezioni precise sui singoli punti.
Far volare il tavolo di discussione, invece, porta solo confusione e fa
percepire che, ancora una volta, l'industria non è in grado di presentare alla politica che cosa vuole.
Intanto nei prossimi giorni AGCOM da una parte e tavolo tecnico
costituito dal sottosegretario Paolo Romani riprendono a funzionare.