Il tema della privacy in Internet, e in particolare sui social network, è spinoso e sempre in evoluzione, al punto che in molti sembrano aver rinunciato a capire cosa comporti davvero l’inserimento di informazioni personali, immagini e commenti su piattaforme come Facebook e Google+. Un dato, però, è certo: la confusione dilaga. A dirlo è un’indagine della società di comunicazione e ricerca digitale Siegel+Gale, secondo cui oltre la metà degli iscritti ai due siti non ha le idee chiare sulle politiche di privacy applicate.
L'utilizzo dei dati degli utenti su Facebook
Confusione e frustrazione sono i sentimenti prevalenti nel
campione di 400 iscritti ai due social network, intervistati con questionario online. E per quanto l’utilizzo di Facebook e (in misura minore) di G+ sia ormai entrato nelle abitudini quotidiane di milioni di internauti, il livello di comprensione delle rispettive politiche di gestione dei dati personali
non è superiore a quello che gli utenti possono vantare per documenti governativi o accordi bancari.
Tradotto in numeri, la valutazione media ottenuta sulla comprensione delle privacy policy di Facebook e G+ è stata, rispettivamente, di
39 e 36 punti su una scala da 1 a 100. Dopo aver riletto le regole dei due social network in materia di dati personali, il 36% e 37% dei rispondenti si è detta intenzionata a modificare il proprio comportamento online, modificando le impostazioni di privacy, cancellando la cronologia delle ricerche e, in generale, utilizzando di meno i siti 2.0.
Queste ultime percentuali, non alte, suggeriscono che solo una modesta fetta di internauti iscritti ai social, una volta a conoscenza delle regole di gestione dei dati, si preoccupa di proteggere meglio la propria privacy, mentre la maggioranza non prende provvedimenti, o per disinteresse o per mancata comprensione delle regole stesse.
Dopo aver letto le policy, appena il 23% del campione ha capito che i profili G+ risultano visibili a chiunque in rete, (anche tramite una semplice ricerca su Google), mentre meno di un terzo (30%) ha colto il fatto che, anche impostando i parametri più restrittivi concessi da Facebook, i loro user name rimangono di pubblica consultazione.
“Abbiamo costretto gli utenti a prestare attenzione a questo tema – ha affermato
Brian Rafferty, global director of insight at Siegel+Gale –, ma nonostante l’obbligo in molti ancora non sono stati in grado di comprendere il contenuto delle norme di privacy, né di afferrare le informazioni di base in esse contenute”.
La colpa, in ogni caso, non è sempre attribuibile a utenti troppo superficiali, ignoranti o distratti. Lo sottolinea, per esempio, un ente no profit per la libertà e l’innovazione del Web come il
Center for Democracy and Technology (CDT): “Le privacy policy non sono il migliore strumento per informare gli utenti – ha dichiarato
Justin Brookman, direttore del progetto sulla privacy dei consumatori del CDT –. Se ho un dubbio riguardante la privacy su Facebook, mi rivolgo al centro assistenza o alle FAQ, non certo al documento contente le policy. Lo stesso vale per Google”.
Google ha recentemente modificato le proprie norme sulla privacy
“La nostra indagine – ha dichiarato
Thomas Mueller, global director of customer experience di Siegel+Gale – svela l’urgente bisogno degli utenti di poter accedere a informazioni sintentiche e trasparenti a riguardo. […] È tempo che i giganti dell’online riconoscano che le loro policy introducono un livello inaccettabile di complessità e rischio nelle loro vite. Una maggiore chiarezza non potrà che generare fiducia e migliorare la reputazione di Facebook e Google”.