14/05/2015 di Redazione

Ibm accende la nuova rivoluzione della luce con un chip fotonico

I ricercatori dell’azienda hanno sviluppato il primo componente di silicio che integra in contemporanea circuiti elettrici e componenti ottici. Grazie a questa tecnologia sarà possibile realizzare ricetrasmettitori da cento gigabit al secondo, con l’obiet

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La rivoluzione fotonica è appena iniziata. Entro pochi mesi si potrà forse dire addio agli impulsi elettrici in favore della luce e i data center potranno così beneficiare di trasmissione dati e larghezza di banda nettamente superiori a quelle attuali. I primi ad arrivare a un risultato concreto sembrano essere i ricercatori di Ibm, che hanno annunciato di avere sviluppato un chip fotonico che consentirà di realizzare ricetrasmettitori ottici da cento gigabit al secondo. In verità, il gruppo di lavoro di Intel ci era andato molto vicino già qualche mese fa, quando si trovava a un passo dall’effettiva implementazione della fotonica del silicio. Un fastidioso problema di temperatura l’aveva costretto però allo stop. Risultato? Consegna dei moduli posticipata e addio velocità della luce nei data center. Almeno fino a oggi.

“Rendere questa tecnologia pronta per un utilizzo commerciale diffuso aiuterà l’industria dei semiconduttori a tenere il passo con la continua crescita della domanda di potenza di calcolo, generata dai Big Data e dai servizi cloud”, commenta Arvind Krishna, senior vice President e Director della Ricerca Ibm. Un’altra rivoluzione legata alla luce, dopo l’avvento della fibra ottica e la prima velocizzazione del flusso dei dati.

Ma come funziona questo sistema, ribattezzato Cmos Integrated Nano-Photonics Technology? La fotonica del silicio utilizza minuscoli componenti ottici per inviare impulsi luminosi e trasferire così grandi volumi di informazioni tra chip, server, data center e supercomputer a velocità quasi impensabili. Abbassando anche i costi e il rischio dei famigerati colli di bottiglia. Un unico chip di silicio ospita circuiti elettrici e componenti ottici, che lavorano fianco a fianco, utilizzando un processo produttivo inferiore ai cento nanometri.

Tramite quattro diversi “colori” di luce – lunghezze d’onda –, che percorrono l’interno della fibra ottica, in futuro si potrà trasmettere in un solo secondo l’equivalente di 63 milioni di tweet, oppure sei milioni di immagini. Altrimenti, ma alzando l’asticella ai due secondi, sarà possibile scaricare un film completo in alta definizione.

I risultati a livello aziendale e industriale si vedranno invece nella possibilità di creare data center in modo disaggregato e flessibile, grazie alle varie interconnessioni ottiche che aumenteranno le performance e le capacità di analisi. Già oggi nei data center vengono sfruttate tecnologie laser a emissione superficiale in cavità verticale, dette Vcsel, attraverso le quali i segnali sono trasportati con fibre ottiche multimodali. Ma questo è possibile solo su distanze brevi.

 

 

Il boom di alcuni servizi che hanno di fatto dematerializzato l’archiviazione, spostandola altrove, come le tecnologie cloud, hanno messo in crisi queste modalità di interconnessione. I ricercatori Ibm situati a New York e Zurigo e gli esperti della divisione Ibm Systems hanno invece testato un prototipo in grado di spaziare fino a due chilometri. Il chip permette la ricetrasmissione di dati ad alta velocità, utilizzando quattro lunghezze d’onda differenti, ciascuna operante come canale ottico indipendente a 25 gigabit al secondo. All’interno di un progetto di ricetrasmettitore completo, questi quattro canali possono essere sottoposti a multiplexing a lunghezza d’onda direttamente sul chip, per fornire una larghezza di banda aggregata di cento gigabit al secondo su fibre monomodali duplex. Minimizzando così anche i costi dell’impianto di fibra presente nel data center.

 

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