18/05/2016 di Redazione

Ibm cambia fase alla memoria per sbarazzarsi di Dram e flash

I ricercatori di Big Blue sono riusciti per la prima volta ad archiviare tre bit in una singola cella di phase-change memory, memorie non volatili che cambiano stato fisico a seconda della tensione. Grazie alla scoperta, si potranno forse utilizzare in fu

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Ibm ha fatto un passo avanti per portare le memorie a cambiamento di fase più vicine alle necessità del mercato. Dietro questo nome altisonante si nasconde una tipologia di memoria non volatile in grado di offrire durata, densità e velocità e che potrebbe sostituire con successo sia i chip Dram sia le unità a stato solido. Le phase-change memory (Pcm) sono in realtà in commercio da una quindicina d’anni e vengono utilizzate per esempio nei dischi ottici e in altri oggetti tecnologici, ma uno dei principali problemi è rappresentato dai costi. I ricercatori di Ibm sono invece riusciti per la prima volta a immagazzinare tre bit di dati per ogni singola cella, aumentando così in modo significativo la capacità.

I materiali con cui sono costruite le memorie a cambiamento di fase (solitamente una lega di germanio, antimonio e tellurio) possono presentarsi in due stati differenti: una fase è detta amorfa, caratterizzata da una struttura molecolare non definita; mentre l’altra è una fase cristallina. In ogni singolo stato del materiale c’è bassa o alta conducibilità elettrica. È quindi possibile intervenire in modo controllato e reversibile sulle due fasi, applicando corrente.

Per archiviare dati nelle celle delle memorie Pcm, passando quindi da “0” a “1”, si deve quindi “semplicemente” applicare uno stato di tensione, conducendo elettroni. Gli zero e gli uno possono essere programmati per essere scritti sia nella fase amorfa, sia in quella cristallina. Per leggere le informazioni si deve poi applicare una tensione minore, con un procedimento del tutto analogo a quello utilizzato per i dischi Blu-Ray.

 

Fonte: Ibm Research

 

Fino a oggi, però, i ricercatori erano riusciti a immagazzinare solo un bit per cella, rendendo così le Pcm poco adatte all’utilizzo in scala. Ma la scoperta del team di Big Blue, presentata durante l’Ieee International Memory Workshop di Parigi, ha aperto le porte ad altri campi applicativi. Gli scienziati hanno spiegato come le memorie con celle a tre bit possano essere utilizzate da sole, oppure in combinazione con unità flash.

Accelerando così in modo sorprendente processi molto diversi tra loro. Il sistema operativo di uno smartphone, hanno spiegato i ricercatori, potrebbe essere registrato nella memoria Pcm, in modo da avviare il cellulare in pochissimi secondi. In alternativa, nel settore enterprise, si potrebbero utilizzare le Pcm per archiviare database interi e per interrogarli a velocità oggi impensabili.

Senza dimenticare il cloud e gli algoritmi di intelligenza artificiale, che beneficerebbero di una latenza ridotta all’osso. Il balzo in avanti è significativo anche perché, come spiegato dal ricercatore Haris Pozidis, “a questa densità il costo delle Pcm è significativamente inferiore dalle Dram e molto più vicino a quello del flash”. Attenderemo i nuovi risultati delle ricerche di Big Blue.

 

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