28/10/2015 di Redazione

Il 58% dei dati delle aziende italiane non ha “paura del buio”

Il Databerg Report 2015 di Veritas prova a fare luce sulle tipologie di informazioni presenti nelle imprese. Nel nostro Paese sei su dieci sono Dark Data e solo il 15% rientra nella categoria “business critical”, ben gestita dai manager It. Il 27% è invec

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La quantità di dati immagazzinata nei sistemi informatici di un’azienda è un po’ come un iceberg: una parte galleggia in superficie ed è visibile, ma la maggior parte del suo volume rimane ben nascosta sott’acqua. Veritas, con il suo Databerg Report 2015, ha provato a fare una stima della mole di informazioni fisicamente presente in azienda, ma sconosciuta ai manager: i cosiddetti Dark Data. E i risultati sono sorprendenti. In Italia il 58% dei dati conservati dalle imprese non è noto agli stessi dirigenti It aziendali, uno degli scenari più critici d’Europa. Si tratta potenzialmente di informazioni e file di ogni genere: dalle foto personali dei lavoratori a contenuti illeciti, che creano un elevato rischio di non conformità per le organizzazioni. Come se non bastasse, l’indagine restituisce la figura di un dipendente medio italiano molto indisciplinato, che gestisce l’It come affare proprio. Ad esempio, carica immagini e video, utilizza software che non rispondono alle policy, mette in circolo sulla rete copie di documenti legali e così via. Ma l’enorme iceberg di dati, che secondo Veritas costerà alle aziende dell’area Emea circa 784 miliardi di euro entro il 2020, non si limita soltanto a questo.

Il totale va calcolato considerando un ulteriore 27% di dati ininfluenti che le imprese si trovano comunque a memorizzare ed elaborare. Vengono identificati con l’acronimo Rot: redundant, obsolete o trivial e indicano le informazioni duplicate, obsolete o ininfluenti. Questo genere di dato va sempre mantenuto al minimo livello ed eliminato in modo periodico. La media della regione Emea è pari al 32%: la Penisola si trova quindi cinque punti sopra rispetto al valore medio, ma comunque a un grado nettamente inferiore rispetto a Paesi come la Danimarca (campione assoluto con il 48%), i Paesi Bassi (44%) e gli Emirati Arabi Uniti (43%).

Ma, ovviamente, oltre ai Dark Data e a quelli Rot esistono anche i dati definiti “business critical” per un’azienda: vitali per il successo operativo dell’impresa, queste informazioni devono essere proattivamente protette e gestite in tempo reale da specialisti. Secondo il report di Veritas, realizzato da Vanson Bourne coinvolgendo 1.475 manager in 14 Paesi, le due Nazioni con la proporzione maggiore di “clean data” sono Israele (24%) e Francia (22%), mentre l’Italia si ferma al 15% (media Emea 14%).

 

 

Ma quali fenomeni contribuiscono a generare il Databerg? L’indagine di Veritas ha individuato tre cause principali. Innanzitutto, le strategie It aziendali basate sui volumi di dati a discapito del reale valore di business di queste informazioni. Poi, l’adozione sempre più diffusa di soluzioni di storage gratuite o a bassissimo costo, come i servizi cloud. Infine, una massiccia disattenzione di fondo dei dipendenti verso le policy delle imprese, che portano all’aggiunta di dati privati non inerenti con il lavoro.

In particolare, è interessante la seconda questione, legata alle capacità di archiviazione in particolar modo su cloud. Quello che Veritas definisce il “mito dello storage grauito” porta le organizzazioni a sottovalutare i rischi della residenza del dato e della sua distribuzione incontrollata anche al difuori dei perimetri aziendali. Una “minaccia” sempre più rilevante, se si considera che nei prossimi 12 mesi nell’area Emea si verificherà un incremento di un terzo sia dello storage che dell’elaborazione sulla nuvola, passando così dall’attuale 33% di adozione di queste tipologie di servizi al 45% futuro.

Secondo il Databerg Report 2015, un intervistato italiano su due ha dichiarato che utilizzerà sistemi di storage su cloud entro il 2016, ponendo il Paese davanti alla media europea. I tre motivi principali che alimenteranno questo passaggio saranno tutti incentrati sulla riduzione dei costi: di archiviazione (56%), di backup (52%) e di disaster recovery (45%). Tuttavia, le aziende che adotteranno questi servizi cloud potrebbero non avere le giuste policy per calcolare i costi di follow-up, quelli per il passaggio a un altro fornitore o per il ritiro dei dati dalla nuvola in caso di emergenza.

 

 

Illuminare i Dark Data è comunque possibile e le indicazioni sono sostanzialmente tre: innanzitutto, avere bene in mente che una crescita incontrollata dei dati è sempre un errore. Di conseguenza, si devono allocare budget It adeguati e implementare strategie per limitare questo incremento caotico. Secondo, interrompere il circolo vizioso dello “storage gratuito”, che porta all’accumulo di informazioni difficilmente governabili. Terzo, infine, evitare la contaminazione di dati aziendali con quelli dei dipendenti, definendo una strategia di governance per i dati non strutturati e incoraggiando un comportamento conforme da parte degli utenti.

 

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