01/04/2011 di Redazione

Il baco (e il buco) dei data center della PA

Quante sono le macchine in funzione nella struttura pubblica italiana? L’ultimo dato noto, del Cnipa, risale al 2006 e parla di oltre 1.000 Ced, 82 sistemi elaborativi grandi e quasi 27mila intermedi. Che costerebbero di sola gestione circa 450 milioni di

immagine.jpg

Al ministro Renato Brunetta i numeri piacciono molto, soprattutto quelli che testimoniano come dai suoi interventi sulla macchina pubblica in materia di digitalizzazione – sintomatica in tal senso l’intervista a Panorama dell’aprile 2010 che campeggia nell’home page del sito del ministero della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione – ne siano scaturiti enormi benefici. Ma anche il proclama di inizio marzo - la semplificazione burocratica farà risparmiare circa 1,5 miliardi di euro alle Piccole e Medie Imprese - non è da sottovalutare. Che il ministro si stia dando da fare è innegabile, che alla lunga il suo mandato poterà dei risultati concreti è probabile; però, sulla questione della trasparenza dei costi di gestione della Pa qualcosa da obiettare ci sarebbe. E, caso vuole, ci sono di mezzo le tecnologie tanto amate da Brunetta.

Ritengo doverosa l’osservazione dopo aver letto su un magazine specializzato (il Corriere delle Comunicazioni) quanto segue: "secondo l’ultimo censimento condotto dal Cnipa, nel 2006, la struttura informatica della PAC (Pubblica Amministrazione Centrale) era composta da 1.033 Centri di elaborazione dati, 82 sistemi elaborativi grandi e quasi 27mila intermedi."
Dati di per sé significativi se vogliamo parlare di razionalizzazione delle risorse e che impongono una domanda duplice: non ce ne sono di più aggiornati? Negli ultimi quattro anni il numero complessivo delle piattaforme è diminuito o aumentato?

Il rischio evidenziato da chi ha giustamente approfondito la questione è questo: esiste un indefinito ed elevato numero di “server fantasma”, che comporta effetti negativi nel funzionamento delle procedure di back office e, di riflesso, nell’erogazione dei servizi digitali al cittadini? Impossibile quindi non chiedersi quali siano i reali costi il sistema dei dati pubblici, partendo dal dato che vede per la sola gestione oneri di 450 milioni di euro l’anno., personale escluso (per ogni macchina vi sono dedicati, sempre secondo il Cnipa, 1,7 addetti per la loro conduzione operativa). Partire da un presupposto per cui neppure gli stessi responsabili dei sistemi informativi della PAC sanno come server e apparati siano utilizzati (è il caso, leggo, del ministero dei Beni e delle Attività culturali, distribuito fra le sedi locali di musei, sovrintendenze, archivi…) non è certo facile.

In ogni caso bisogna trovare delle soluzioni. Quelle suggerite da DigitPA rimandano esplicitamente al cloud computing: con la migrazione sulla nuvola, questo il dato a supporto della tesi di cui sopra, gli enti pubblici taglierebbero del 70% le spese energetiche e libererebbero il 60% dello spazio fisico occupato dalle macchine, con ricadute positive anche sui costi di gestione dei data center. Dell’avviso che il cloud sia lo strumento più efficace per mettere ordine e razionalizzare il sistema dei data center pubblici è anche, stando alle sue recenti dichiarazioni apparse sempre sul Corriere delle Comunicazioni, è anche il presidente della Commissione Trasporti e Tlc della Camera (nonché responsabile Enti Locali del Pdl) Mario Valducci. Se le parole valgono qualcosa e la coerenza rimane una virtù non è quindi il caso di preoccuparsi troppo. Prima o poi il problema dei “server fantasma” verrà risolto.

Quanto al ministro Brunetta, parlano per lui i numeri resi noti dal Ministero che presiede in una nota datata 28 marzo e avente questo titolo: “Digitalizzazione nella PA. Brunetta: L’Italia è risalita ai primi posti nelle classifiche europee”. Scorrendo il testo si legge come dal 2009 a oggi “sia cresciuto in modo decisivo il livello di innovazione dei servizi della nostra Pubblica Amministrazione…” e si possono apprendere queste cifre, attestate dalla Commissione europea: l’Italia è tra i Paesi con i migliori risultati in tema di e-Government, prima per disponibilità e seconda (al 99% dell’indicatore) per qualità e innovazione dei 20 servizi prioritari per i cittadini e le imprese. Inoltre, prosegue la nota, “la disponibilità telematica dei servizi prioritari ha raggiunto il 100% (era il 69% nel 2009), contro una media europea che si ferma all’82%. La qualità dei servizi offerti è al livello più alto per la quasi totalità dei 20 servizi prioritari: insieme a Germania, Svezia e Portogallo, l’Italia è al 99% rispetto alla una media EU27 che si assesta a circa l’89%”. Di data center inutili e responsabili di sprechi per le casse pubbliche non c’è ovviamente traccia.





ARTICOLI CORRELATI