28/07/2016 di Redazione

Illusioni ed errori del marketing, la vera personalizzazione è lontana

Come svelato da un’indagine di Sap Hybris e Forrester Research, oggi circa l’80% delle aziende basa le proprie azioni di marketing su dati frammentati e molto parziali. Guadagnare una visione d’insieme e imparare a raccogliere anche le intenzioni di shopp

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Gli uomini e le donne del marketing credono di essere al passo con i tempi, ma i clienti-consumatori non sono della stessa opinione. Uno studio realizzato da Forrester Research e sponsorizzato da Sap Hybris svela che gli imperativi della personalizzazione e dell’omnicanalità sono ben chiari nella mente di chi, in azienda, lavora per aumentare il coinvolgimento, gli acquisti e la fedeltà a un marchio. Ma i risultati spesso lasciano a desiderare. Il 91% dei 200 esperti di marketing e pubblicità intervistati negli Stati Uniti, in Europa, Asia e Africa (di aziende da oltre 500 dipendenti) considera la personalizzazione dei messaggi come una strategia prioritaria. E gli sforzi già dispiegati in questa direzione hanno lasciato soddisfatti i due terzi dei professionisti, ovvero il 66% dei duecento intervistati, che reputano “molto buono” o “eccellente” il lavoro realizzato finora.

Fra i 1.200 consumatori interpellati, tuttavia, appena un 31% ritiene che le aziende stiano offrendo esperienze personalizzate e coerenti sui diversi canali di contatto (negozi, Web, applicazioni mobili, social network, comunicazioni email, chat e altro ancora). Un buon 40% di utenti arriva addirittura a considerare per nulla interessanti la maggior parte delle promozioni loro dedicate, il 44% si sente bombardato da un numero eccessivo di proposte, il 40% per questa ragione si è cancellato almeno una volta da una mailing list  e il 37% regolarmente cancella la maggior parte delle email commerciali senza nemmeno leggerle.

 

 

L’evidente contraddizione fra aspettative e risultati ha diverse cause. Il primo e principale problema sta nel significato attribuito al concetto di personalizzazione, poiché nelle aziende prevale ancora l’idea che sia sufficiente segmentare il target in base a una manciata di criteri (demografici, principalmente, ovvero sesso ed età), mentre oggi serve ben altro. Per essere rilevanti ed efficaci, i messaggi promozionali devono “rivolgersi ai consumatori in quanto individui”, scrive Forrester, e intercettare le loro intenzioni di shopping nel momento in cui si manifestano. Questo richiede a chi vende – sia esso un retailer, un operatore di e-commerce, una società di servizi – il saper raccogliere e utilizzare diversi tipi di dati, inclusi i “segnali di intenzione” ovvero le interazioni, le ricerche Web, il tempo di posa su una pagina, i “like”, i commenti a un prodotto. Tutto ciò è una risorsa, ma chi sa come catturare e analizzare questi dati oggi rappresenta l’eccezione e non la regola.

 

Alla ricerca di una visione d’insieme
A detta dell’indagine, attualmente solo il 16% delle aziende ha la capacità di raccogliere in tempo reale dati comportamentali sulle intenzioni di acquisto dei potenziali clienti e di farlo su tutti i canali di interazione. Si innesta qui un secondo problema: quand’anche fossero raccolti, i dati restano confinati in blocchi distinti, uno per canale. Mentre, come ormai noto, oggi bisogna ragionare in ottica “omnichannel”, armonizzando le attività di monitoraggio, comunicazione, advertising, servizio clienti su Web, applicazioni mobili, negozi o sportelli fisici e quant’altro. I silos, al contrario, impediscono di avere una visione d’insieme e una strategia coerente. E non si parla di due o tre archivi di dati isolati l’uno dall’altro: a detta dell’indagine di Forrester, sono in media undici per azienda.

C’è da augurarsi che la minoranza faccia scuola. Chi rientra nella piccola categoria (il 22% del campione dei duecento) di coloro che sintetizzano tutti i dati degli utenti in un solo database ha in effetti definito, nel 70% dei casi, “molto utile” questa visione d’insieme sulla clientela. Queste aziende, inoltre, hanno una probabilità maggiore (30%, contro il 16% delle altre) di saper compiere azioni di marketing in tempo reale su diversi canali.

 

 

Uno scambio non sempre vantaggioso
Un altro aspetto molto interessante emerso dall’indagine è la propensione degli utenti a cedere i propri dati personali. Poiché ormai è quasi impossibile iscriversi a un servizio o acquistare un prodotto online senza dover comunicare informazioni sulla propria identità, recapiti e interessi, pare che la maggior parte dei consumatori abbia accettato questa evidenza: il 74% dei 1.200 intervistati ha detto di essere “molto o abbastanza a proprio agio” al pensiero che le aziende raccolgano e poi rivendano i loro dati. Una buona parte di utenti, il 44%, si è detta ben disposta a cedere informazioni personali, ma una condizione: quella di ottenere in cambio il vantaggio di migliori offerte personalizzate. I consumatori, inoltre, desiderano avere più controllo sul tipo di dati da condividere e anche sulla quantità e frequenza dei messaggi promozionali. Do ut des, insomma. Finché il mondo del marketing non diventerà davvero omnicanale e capace di creare personalizzazione, tuttavia, lo scambio non sarà equo.

 

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