06/10/2015 di Redazione

Internet of Things, frammentazione e rivalità sono un problema

Un’analisi di Forbes evidenzia alcune criticità nello scenario dell’Internet delle cose: per far funzionare i 50 milioni di dispositivi connessi previsti per l’anno 2020 sarà necessario trovare punti in comune fra i dieci gruppi per la definizione di stan

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Si potrebbe definire come un risiko nascosto sotto le apparenze della collaborazione. Altrettanto efficacemente, per descrivere lo scenario dell’Internet of Things Forbes parla di giocatori che fanno i loro calcoli dietro alla roulette, scommettendo e valutando opportunità. Il succo del discorso è il medesimo: per il successo dell’Internet delle cose nel lungo periodo non basteranno le tecnologie e l’interesse del mercato (o dei tanti mercati verticali coinvolti da questo fenomeno), ma bisognerà mettere un freno alla frammentazione. I 50 miliardi di oggetti connessi e i 19 trilioni di dollari di giro d’affari previsti per il 2020, a detta della firma di Forbes Theo Priestley (non una persona dai toni smussati, come si evince dal suo profilo Twitter), diventano “senza senso se si analizza quanto il mercato appare frammentato”.

Basta dare un occhio ad altri numeri. Oggi ben dieci gruppi, o “fazioni” come le chiama Priestley, si stanno operando per affermare i propri standard come quelli di mercato, e la lista include Allseen Alliance, Industrial Internet Consortium, Internet Of Things Consortium, Ipso Alliance, LoRa Alliance, Open Internet Consortium, Thread Group, Z-Wave Alliance, Zigbee Alliance, e Alliance for the Internet of Things Innovation. In questo calderone rientrano diversi vendor fortemente interessati all’IoT, fra cui Cisco, Samsung, Intel, Ibm, Arm e Honeywell.

I sei sarebbero, nell’analisi di Forbes, gli strateghi che determineranno il futuro dell’internet of Things, una micro-economia corrispondente a una capitalizzazione di mercato complessiva di 670 miliardi di dollari e a un fatturato annuo di 428 miliardi di dollari, in cui lavorano 780mila dipendenti. Assenti illustri, sebbene non alieni dal mondo IoT, Microsoft ed Apple, mentre Google ha dimostrato il suo interesse per gli oggetti connessi con l’acquisto di Nest (e dunque con l’ingresso nel segmento smart home) ma non sembra in grado di cambiare le carte in tavola al pari dei produttori di chip come Intel, Samsung e Ibm.
    
L’articolo di analisi fa anche notare come alcuni dei sei colossi tecnologici abbiano il piede in più scarpe: Cisco e Samsung, per esempio, fanno parte di sette consorzi di definizione degli standard sui dieci esistenti, mentre Ibm, Honeywell e Intel sono impegnate in cinque iniziative. Ridurre il numero delle strade percorse oppure farle convergere sarà dunque cruciale nei prossimi anni.

“L’Internet delle cose è una grande opportunità da cogliere nei prossimi cinque o dieci anni”, scrive Priestley, “e per questo la definizione degli standard è un obiettivo fondamentale da portare a casa. La realtà, però, è che l’IoT non è un mercato ma un intero ecosistema e frammentarlo, così come avviene, potrebbe allontanare la realizzazione del suo potenziale”.
 

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