28/09/2011 di Redazione

La ricetta anti-crisi? Obama la cerca nella Silicon Valley

La visita del Presidente Usa e di tre autorevoli rappresentanti del partito repubblicano nella culla delle tecnologie riflette l’importanza che il primo Paese al mondo della classifica dell’IT Industry Competitiveness Index attribuisce alle potenzialità e

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La politica ovviamente c’entra ma ciò che conta maggiormente è l’essenza stessa dell’azione. Il Presidente degli Stati Uniti Barak Obama e tre esponenti della House Republicans (organismo strettamente collegato alla presenza di parte repubblicana al Congresso di Washington) sono andati settimana scorsa nella Silicon Valley per discutere di persona con il gotha delle aziende tecnologiche di alcune proposte tese a rilanciare la malaticcia economia Usa.

Una sorta di pellegrinaggio della speranza, ben diverso – nei modi e nelle finalità – di quello che volevano intraprendere in Terra Santa i parlamentari italiani a fine agosto, in piena bufera pre-nuova manovra economica.



Obama ha fatto capolino in particolare a un evento organizzato da Linkedin dove si è parlato di lavoro, economia e di come muovere il Paese fuori dalla crisi e verso il futuro. Misure concrete insomma, nella sostanza quelle contenute nell'American Jobs Act, il memorandum di 199 pagine che l’amministrazione in carica ha stilato per creare nuova occupazione e comprendente un mix di provvedimenti relativi ad addizionali investimenti del governo Usa, la sospensione temporanea di alcune tasse e l’introduzione di nuove imposte (per un gettito previsto di 467 miliardi di dollari) che si renderanno effettive fra 16 mesi.

All’azione dell’inquilino della Casa Bianca, che nel suo tour californiano ha recato visita al numero uno di Symantec John Thompson e alla Chief Operating Officer di Facebook Sheryl Sandberg, hanno fatto eco quelle di tre illustri rappresentanti dell’opposizione (fra questi il budget committee Chairman Paul Ryan dello stato del Wisconsin): per illustrare i contenuti delle proposte dettagliate in un nuovo testo intitolato “Young Guns: A New Generation of Conservative Leaders”.

Solo manovre da campagna elettorale? Può darsi. Ma ai diversi analisti It senza occupazione che sono andati a sentirlo al Computer History Museum di Mountain View (dove ha sede il quartier generale di Google) Obama ha detto a chiare lettere che l’approvazione dell’American Jobs Act è un passaggio importante per garantire l’assistenza dello Stato a chi è disoccupato (negli Usa il tasso di unemployment ha oscillato negli ultimi due anni intorno al 9%) e per ridurre a minimi termini il rischio di discriminazione fra chi un poso di lavoro ce l’ha e chi se l’è visto togliere dall’oggi al domani.

Il punto nodale della questione è infine questo: Obama è andato nel cuore pulsante dell’industria tecnologica americana ma di tecnologie non ha parlato. Ha disquisito con la platea e con i top manager della Silicon Valley – che ha lodato con queste parole: “no part of the country, I think, better represents the essence of America than here” - di start up e di settori ad elevato potenziale di crescita.

Quali
risultati possa fruttare la missione del Presidente Usa ovviamente non lo si può sapere ora. Certo di questo genere di iniziative in Italia non se ne registrano. Eppure – come documenteremo nei prossimi giorni con un articolo a firma di Luigi Ferro – l’analisi congiunturale dell’economia italiana e i trend del mercato Ict danno adito a preoccupazioni serie e del tutto motivate. 

 

E senza entrare nel merito della dinamica del nostro Pil rispetto a quello degli altri Paesi basta dare un occhio all’edizione 2011 dell’IT Industry Competitiveness Index realizzato dall’Economist Intelligence Unit (EIU).

L’Italia guadagna sì una posizione nella classifica globale di competitività nell’Information Technology (che tiene conto di parametri come la situazione economica, l’infrastruttura IT disponibile, il capitale umano, l'avanzamento della ricerca e sviluppo, il sistema giudiziario e gli incentivi offerti dal settore pubblico allo sviluppo industriale nel Paese) ma la posizione che occupa il Belpaese è la 23esima su 66 complessive. 

In cima alla graduatoria ci sono ancora una volta gli Stati Uniti, seguiti da Finlandia, Singapore, Svezia e Regno Unito. Le nazioni che hanno marcato gli spostamenti più vistosi dal 2009 al 2011 sono la Malesia, che ha conquistato ben 11 posizioni proprio grazie a massicci investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo, e l’India, che ha fatto un balzo di 10 posizioni grazie a una robusta R&D e ad un ambiente dinamico per il capitale umano.

In generale, lo studio di quest'anno ha confermato come le nazioni tradizionalmente forti nell’IT abbiano mantenuto le rispettive posizioni di leadership: in pratica, in anni di investimenti questi Paesi hanno costruito solide basi per l'innovazione tecnologica e ora continuano a raccoglierne i frutti. In Italia, come tutti sappiamo (e da parecchio tempo) questo processo virtuoso non è avvenuto e non ci sono le avvisaglie che possa iniziare a breve.


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