10/03/2011 di Redazione

NGN: mancano i soldi, chiediamoli ai cinesi

Le reti di nuova generazione le vogliono tutti (a parole) ma alla fine non si fanno perchè non c'è la "materia prima", i capitali che servono a finanziarle. Così nascono ipotesi (è il caso della Regione Lombardia) che oltre agli operatori alternativi si a

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Nei giorni scorsi è uscita la notizia secondo cui il progetto della “new company” pensata dalla Regione Lombardia per la realizzazione delle reti di nuova generazione è fermo al palo. Mai decollato. Le ragioni? Le solite, quando si parla (in Italia) di opere innovative e strutturali e quando c’è di mezzo un conflitto di interessi che nessuno – autorità competenti, governo, aziende direttamente interessate – è mai riuscito a risolvere con una soluzione concreta: quello fra Telecom Italia e operatori alternativi. Eppure stiamo parlando della Lombardia, della regione più ricca d’Italia, di una regione il cui Presidente ha fatto spesso vanto della portata del progetto della banda larghissima per tutti. Con decine e decine di milioni di euro pronti a essere investiti per realizzare il piano di digitalizzazione di cui sopra. E invece niente.

Dal “Corriere delle Comunicazioni” si apprende che esiste però un’ipotesi alternativa, direttamente avallata dal governatore Roberto Formigoni. Quale? Quello di aprire il progetto alle società che realizzano le infrastrutture: Alcatel-Lucent, Nokia Siemens Network, Ericsson e le cinesi Huawei e Zte. Tutte invitate al tavolo per contribuire a una parte dei capitali necessari a finanziare la rete e per vestire i panni di esecutori materiali di un piano di “realizzazione/cluster” che spezzerebbe il progetto originario in sei distinti progetti paralleli, aventi il fine di tagliare sensibilmente i tempi di costruzione della rete, i rischi dell’operazione e i relativi costi.

Da qui nasce l’idea di coinvolgere le società che costruiscono le reti, “previa procedura di evidenza pubblica”, e incaricarle di agire da general contractor per la posa dei cavi e la fornitura della tecnologia, oltre che da finanziatori diretti dell’operazione. Sempre e comunque sotto la governance della Regione e con il ruolo attivo della holding che vede in gioco gli operatori alternativi a Telecom, e cioè Wind, Fastweb e Vodafone. Il tutto condito da un complesso mosaico di partecipazioni e cessioni di quote relativamente alle sei nuove società di progetto, filiate direttamente dalla holding e finanziate dai vendor di infrastruttura, che cableranno il territorio.

Pongo qualche domanda, all’apparenza banali. E se le società in questione dovessero dire di no per non ledere i consolidati rapporti commerciali con Telecom Italia? E se all’appello rispondessero solo le multinazionali cinesi? Avremmo una rete in fibra ottica che parla asiatico come del resto lo è quella che Tiscali ha posato in Sardegna in collaborazione con una di queste aziende (Zte)? Niente di male, per carità, l’importante è che gli utenti abbiano la garanzia di accedere ai servizi e di farlo a prezzi di mercato e che non vi siano i soliti sprechi di soldi pubblici. Ma, mi chiedo forse ingenuamente, perché tutti questi “giochini”, questi escamotage di cui nessuno o quasi è a conoscenza? Dove sono finiti i piani originali per le Ngn italiane, quelli che dovevano essere finanziati con 10 miliardi di euro e sono stati invece lasciati alla mercè delle lotte insanabili fra gli operatori? Possibile che ci tocca sempre leggere di come in altri Paesi, vedi la Germania, i progetti di azzeramento del digital divide si concretizzino e da noi c’è sempre un ostacolo di mezzo?

Se in Europa l’Italia non brilla certo per livelli di adozione dei servizi su fibra ottica (lo dice a chiare lettere il consorzio Ftth) anche la dove questa è disponibile non sarà solo colpa di Telecom & Co. ma è indubbio che il Belpaese lamenti una sostanziale carenza di infrastruttura a banda larga. E le reti le dovrebbero fare gli operatori di telecomunicazione e i ministeri competenti per anticipare e soddisfare i bisogni dell’utenza, non per colmare il digital divide.

In attese di risposte, chiudo questa riflessione sulla “banda larga che non c’è” con le parole espresse giorni fa da Gabriele Galateri di Genola, presidente del Comitato banda larga di Confindustria e di Telecom Italia, in un’intervista concessa al Sole24ore. “La banda larga è un imprescindibile motore di sviluppo e si stima che una sua penetrazione possa generare una crescita aggiuntiva del Pil superiore all’1% all’anno. L’utilizzo della banda larga in Italia va liberato, è necessario un impegno maggiore sia del Governo sia dalla maggior parte delle Regioni, a cui bisogna affiancare un processo di infrastrutturazione delle aree con fibra ottica, e promuovere più collaborazione tra pubblico e privato”. Sul principio siamo tutti d’accordo. Intanto solo il 14% delle realtà produttive italiane si serve di Internet per acquistare prodotti e solo il 4% utilizza il Web come canale di vendita. Lo ha detto il numero due di Telecom Italia.


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