25/06/2018 di Redazione

Per la Corte Suprema il “pedinamento digitale” con Gps va regolato

D'ora in poi l'Fbi e le altre agenzie di intelligence dovranno ottenere il permesso del tribunale per pretendere dagli operatori telefonici la cronologia dei dati di geolocalizzazione degli indagati. Così ha deciso una sentenza della Corte Suprema statuni

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Privacy e sicurezza (quella fisica, garantita dalle forze dell'ordine e dalle agenzie governative) negli ultimi anni si sono trovate spesso sugli opposti piatti della bilancia. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha appena regalato un punto al primo dei due diritti, stabilendo il divieto di “seguire” tramite Gps lo smartphone di una persona sospetta o accusata di qualcosa, a meno di aver ottenuto l'autorizzazione del tribunale competente. Poliziotti e investigatori, inclusi quelli di Fbi, Cia e agenzie di intelligence, dovranno quindi chiedere permesso prima di procedere, eventualmente, nell'opera di “pedinamento” digitale che si realizza attraverso la cronologia delle coordinate Gps registrate da un telefono.

Si tratta di dati che normalmente i carrier conservano per ragioni tecniche, di gestione della rete e del troubleshooting. Capita però che forze di polizia e agenzie di intelligence chiedano di avere accesso a questi dati per poter ricostruire gli spostamenti di persone sospettate di qualche reato. Così è accaduto nel caso di Timothy Carpenter, sospettato nel 2010 di aver partecipato a una serie di furti (guarda un po', di telefoni cellulari) avvenuti fra Michigan e Ohio. Presentando una semplice richiesta a un magistrato di una corte distrettuale, l'Fbi aveva potuto ottenere da diversi operatori telefonici la completa cronologia degli spostamenti dell'uomo, dotato di più Sim card, su un periodo di 127 giorni.

Nel mare delle 13mila coordinate geografiche osservate c'era anche la prova che il sospettato si trovasse, in tutti e quattro i casi, nei pressi dei negozi svaligiati. L'indagine si era quindi risolta con un doveroso arresto, ma la discussione è proseguita in tribunale attraverso l'azione dei legali di Carpenter prima in una corte d'appello distrettuale e poi, dal novembre del 2017, in Corte Suprema nel caso “Carpenter versus Stati Uniti d'America”.

Venerdì scorso Il giudice alla guida della Corte Suprema, John Roberts, nonostante le proprie posizioni conservatrici si è schierato insieme ai quattro liberal che chiedevano di vietare questa pratica, a loro dire una violazione del Quarto Emendamento della costituzione statunitense, quello che proibisce le perquisizioni, le confische di beni e i mandati d'arresto immotivati.

Il problema, secondo i legali di Carpenter, è che i dati raccolti rivelavano anche dettagli della vita privata dell'indagato. A loro dire, inoltre, ricostruire ex post i movimenti di una persona attraverso la cronologia della geolocalizzazione non è diverso dal nascondere un ricevitore Gps nella macchina di un sospettato (e nel 2012, nel caso “United States versus Jones”, si era stabilito che quest'azione non può essere fatta senza mandato, al pari di una perquisizione o di un arresto). Il giudice Roberts ha dunque stabilito che d'ora in poi Fbi, Cia e altre agenzie governative dovranno ottenere un'autorizzazione dal tribunale prima di poter pretendere dai carrier telefonici i dati di cronologia del Gps. O meglio, sarà così in tutti i casi in cui si debbano ricostruire gli spostamenti della persona relativi a un certo giorno o periodo, mentre si potrà pretendere di avere accesso in tempo reale ai dati del Gps qualora questo sia necessario per l'indagine o in situazioni di emergenza.

 

 

 

Si tornerà certo a parlare di argomenti come questo, considerata la enorme crescita dei sistemi di sorveglianza, in tutte le loro declinazioni. C'è la videosorveglianza, ormai onnipresente in Cina, spesso in abbinamento all'intelligenza artificiale e ai sistemi di riconoscimento biometrico (si è discusso, recentemente, di quello di Amazon). E poi c'è il tracciamento degli utenti online, polemica scoppiata con i casi del Russiagate e dei dati di Facebook ottenuti da Cambridge Analytica. L'annosa lotta al terrorismo, nel mondo fisico e in quello digitale, ha inoltre portato con sé riflessioni sui limiti del diritto all'indagine e su quelli della privacy.

Risale ormai a oltre due anni fa il braccio di ferro tra Fbi ed Apple in merito alla richiesta dell'agenzia di intelligence di essere aiutata a “forzare” l'iPhone di Syed Farook, meglio noto come il terrorista di San Bernardino, che a fine 2016 provocò la morte di 14 persone. Più che comprensibile l'esigenza di investigare sulla rete di complici di un assassino, ma Tim Cook si era fermamente rifiutato di collaborare, aiutando l'Fbi a superare la password di blocco del telefono e a decrittografare i dati archiviati: questo avrebbe richiesto una riprogettazione del sistema operativo e creato un pericoloso precedente. “Una volta creata, questa tecnica potrà essere utilizzata più e più volte, su qualsiasi dispositivo”, aveva sottolineato Cook.

 

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